Il Sailing Yatch A, ovvero il panfilo più grande del mondo, è passato da qui. Il My Lauren, il mega yatch da 65 milioni di euro, pure.

«Armani, Valentino… Lo scorso anno sono mancati solo Dolce & Gabbana», spiega Francesco Ranieri. È il patron del Pontile Carmelo, punto nevralgico della parte turistica del porto di Vibo Marina.

Petrolieri, protagonisti del jet set, politici, calciatori, alcune tra le personalità più influenti e facoltose del mondo, hanno il loro attracco estivo nel vecchio Giardino sul mare che guarda ad un Tirreno maestoso.

Cosa sarà di tutto questo dopo l’anno del coronavirus? Cosa accadrà nell’estate del 2020? «Molti hanno già disdetto, altri ancora non lo hanno fatto ma di certo diserteranno», dice Ranieri.

Si fa presto a dire “chissenefrega” delle sontuose vacanze dei ricchi e dei potenti, perché attorno a ciò ruotano un’economia e un indotto che per questo territorio significa vita.

Ranieri mostra la lucidità dell’imprenditore che preferisce i fatti alla pronuncia dei nomi altisonanti per essere credibile e dare compiutamente l’idea di un «disastro economico» che «è solo all’inizio, più grave della crisi che il mondo ha conosciuto dal 2008 in avanti», dopo lo scandalo Lehman Brothers, per intenderci.

«Lo scorso anno, ad esempio, abbiamo avuto qui - aggiunge l’imprenditore - i reali del Marocco e non è possibile descrivervi la macchina straordinaria che abbiamo allestito per far star bene queste persone. Il pontile, l’ormeggio, non è nulla rispetto alle ricadute economiche sul territorio. Queste sono persone che se vanno in un ristorante, in un negozio, spendono. E hanno una capacità di spesa che non è certo quella della famiglia media italiana. Per territori come i nostri, questo significa dare respiro all’economia, al lavoro, significa portare ricchezza».

Eppure Francesco Ranieri guarda all’emergenza coronavirus spogliandosi delle vesti di attore economico, da cittadino del mondo: «Le nostre situazioni, quello che passiamo e passeremo sono nulla rispetto al dramma che il nostro Paese ed il mondo stanno vivendo. Abbiamo perso i nostri cari, i nostri nonni, un pezzo della nostra storia, molti non hanno avuto neppure la possibilità di dare loro l’ultimo saluto. È questo il vero dramma».

Il sole di primavera bacia uno specchio acqueo che dà linfa ad un’economia complessa: l’opulenza dei panfili, sì, ma anche il sudore sulla fronte dei pescatori. Anche qui, nei giorni del coronavirus che spaventa tutto il mondo, il tempo è come se si fosse fermato. Solo i flutti leggeri che adagiano gli scafi e la tensione delle cime che assicurano gli ormeggi, infrangono una stasi che mette in ginocchio un sistema produttivo.

I pub, le gelaterie, i ristoranti: tutti chiusi nei giorni dell’emergenza Covid. Chiusi gli alberghi ed i B&B. Le case vacanze resteranno sfitte nell’estate del 2020. Lidi balneari, risentono ancora delle ferite lasciate dalle mareggiate e dall’inverno.

C’è solo abbandono e trascuratezza. Il turismo balneare subirà pesanti contraccolpi, come quelli che ha già subito il comparto ittico.

«Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… dieci…». Pasquale Pitt, è un manager della Marpesca, una delle principali aziende ittiche calabresi. Conta i pescherecci fermi da quando è scattato il lockdown. La pesca poteva continuare, ma «le aste non si possono fare più. Impossibile rispettare le distanze di sicurezza e poi, i partecipanti per la maggior parte venivano dalle altre province… Ora non si può».

E poi: «A chi vendere? I ristoranti sono chiusi. Non ci resta che l’home delivery».

Già, la consegna a domicilio, è – evidenzia Piergiorgio Ceravolo, proprietario della Marpesca – da un lato ciò che «ci resta per vendere quel poco che è possibile pescare, dall’altro è un modo per rendere un servizio alla comunità».

I pescatori? C’è chi è in cassa integrazione, chi lavorando alla giornata non ha fonte di sostentamento. Sono pochi quelli che continuano ad uscire in mare: «Se buttiamo la rete tre volte, usciamo all’una di notte… Se la buttiamo soltanto due volte, anche alle quattro… E poi dipende dal tempo».

Le giornate a volte durano fino a dodici, addirittura sedici ore. È un lavoro romantico, quello del pescatore, ma anche duro. Lo stipendio? «Io e lui – dice un pescatore su un peschereccio attraccato – abbiamo un fisso mensile, mille euro più qualche chilo di pesce che portiamo a casa…».

Una vita durissima, fatta di notti insonni e grandi sacrifici per mandare avanti le rispettive famiglie per una paga che se hai anche un affitto da pagare non potrà mai bastare… Eppure loro sono «fortunati». Perché continuano a lavorare, perché «quando sei in mare non ci pensi al coronavirus e agli altri mali del mondo».