Undercover

La caccia degli agenti sotto copertura ai soldi della ’ndrangheta: «Così abbiamo scoperto come riciclano i narcodollari»

I contatti con il Cartello del Golfo. I viaggi per prelevare milioni e portarli in una banca di Trento. Il ritorno del denaro in Colombia. Il procuratore Raimondi racconta il meccanismo e lancia un monito: «Questo metodo è già vecchio, ora le mafie puntano su bitcoin e metaverso»

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di Pablo Petrasso
17 luglio 2024
18:40
Il procuratore di Trento Raimondi
Il procuratore di Trento Raimondi

Il metodo per riciclare i narcodollari della ’ndrangheta viene definito «molto raffinato e articolato» dal procuratore di Trento Sandro Raimondi.

La sua recente audizione in commissione parlamentare antimafia si inserisce nel quadro degli approfondimenti rivolti alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali – e soprattutto dei clan calabresi – al Nord. Raimondi parla di un’inchiesta del 2023 ma approfondisce l’aspetto legato alle tecniche di riciclaggio e permette ai commissari di rivivere l’esperienza di un agente sotto copertura entrato nel meccanismo gestito da un lato dai calabresi, dall’altro dai potenti cartelli colombiani.


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Prima i whatsapp, poi il denaro

L’agente undercover, spiega il magistrato, «era in contatto con grandi gruppi criminali del Cartél del Golfo, gli eredi di Pablo Escobar Gaviria». Quell’agente «riceveva messaggi del tipo: “Sei disposto, tra sei-sette giorni, ad andare a Reggio Calabria, Firenze, Bologna a prelevare un milione di euro, 500mila euro, 600mila euro?”». Quei messaggi, secondo quanto documentato nell’inchiesta, arrivavano da calabresi legati ai clan padroni del narcotraffico. Ovviamente «l’undercover diceva Sì e quando si recava sul luogo veniva contattato con un altro WhatsApp dove gli veniva detto il posto esatto. Il posto esatto, ovviamente, te lo dicono all'ultimo momento».

A quel punto l’agente sotto copertura, protetto da un cordone invisibile di colleghi delle forze dell’ordine, arrivava a destinazione. «Lui – il racconto è sempre del procuratore di Trento Raimondi – aveva mandato in precedenza la foto di una banconota da 5 euro con il numero di serie, che veniva mandata a Bogotà e a Medellin e poi rimandata al corriere che portava i soldi da parte dei colombiani trafficanti, perché erano tutti denari relativi al pagamento di sostanze stupefacenti, ovviamente cocaina».

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I colombiani, sottolinea il magistrato, «sono talmente forti che possono vendere in anticipo e senza essere pagati. Aspettano il pagamento in queste modalità».

A momento dell’incontro tra l’undercover e il “mule” (lo spallone con il denaro) ovviamente le due foto della banconota dovevano corrispondere.

Sembra un’ovvietà, ma in certi contesti i rischi in caso di errori o ritardi sono alti: «Infatti rimanemmo fermi un paio di mesi perché il referente colombiano era stato suicidato – diciamo così – da parte del Cártel del Golfo».

I soldi sul conto di una società fittizia mandati in tre continenti

Prima tappa del giro del mondo del riciclaggio. La seconda portava l’undercover a Trento: lì metteva il denaro «nel conto bancario intestato a una società fittizia, d’accordo, ovviamente, con l’amministratore delegato della banca, perché portare un milione in contanti non è considerata una cosa buona e giusta».

Dopo qualche giorno, l’agente infiltrato «riceveva un altro messaggio che gli diceva: “Di questo milione, 300mila dollari in Cina, 400mila dollari a Miami, in Spagna” in altre società, che giustificavano questi accrediti con fatture di comodo, fatture finte, e via discorrendo».

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L’accredito bancario lasciava ovviamente tracce che si interrompevano «nel momento del passaggio del denaro dalla società di Trento alle società riceventi, perché dopo loro non accreditavano più in Colombia il denaro, ma vendevano beni di lusso – gioielli, orologi, sofisticatissimi computer – a società colombiane esistenti».

Le società colombiane legate ai narcotrafficanti

«Questo è il vero modo di riciclare il narcotraffico – conclude Raimondi –. L’abbiamo scoperto. Attraverso Colombia e Spagna ogni anno, secondo le stime di Europol, ma anche le nostre, penso si possa parlare, per il settore europeo del solo Cártel del Golfo di circa 10 miliardi di dollari all'anno di riciclaggio».

Il racconto continua con la visita a Trento dei colleghi colombiani della Fiscalìa di Bogotà: «Quando hanno visto il nome delle società destinatarie dei beni con un profilo commerciale vero, non fittizio, sono rimasti a bocca aperta. Erano anche molto preoccupati, perché le società erano vere, ma erano sicuramente collegate a qualche narcotrafficante. Quindi, i problemi di immissione e di aggressione all'economia virtuosa erano veramente significativi».

Monete virtuali e metaverso: le nuove frontiere del riciclaggio

Se l’economia reale è inquinata dai narcodollari, per Raimondi lo è anche quella delle monete virtuali. Nonostante il meccanismo di riciclaggio sia stato ricostruito solo di recente, spiega, «siamo davanti a un metodo obsoleto. È rimasto in vigore fino a un paio di anni fa, ma oggi non si fa più così. Oggi abbiamo assistito in modo prepotente, aggressivo all'ingresso delle criptovalute nelle operazioni di riciclaggio».

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Si entra, così, in un campo diverso, un campo in cui «i confini sono svaniti, sono evaporati. Perché? Perché, attraverso l'economia digitale, attraverso la possibilità di acquistare criptovalute e accreditarle su conti alle Cayman o alle Barbados, non abbiamo più dei controlli». La nuova sfida è quella «di dare un volto all’anonimo». Il procuratore Trento parla dei rapporti con i colleghi della procura di Miami e con gli agenti speciali della Homeland Security Investigations per studiare il monitoraggio delle transazioni via bitcoin. La prossima frontiera è, per il magistrato, il metaverso. «Queste piattaforme – spiega – consentono di comprare. Io compro la Monna Lisa nel metaverso, compro un pezzo di Roma nel metaverso, compro un pezzo della Sicilia nel metaverso. Queste piattaforme sono libere. Ci si può accedere tranquillamente. Mi sono anche registrato per verificarlo personalmente. Naturalmente ho usato il mio nome e cognome per evitare di incorrere in qualche illecito. Poi abbiamo pensato magari anche di creare un avatar con la polizia giudiziaria. Ci hanno chiesto se eravamo veri? No. Ci hanno detto: benvenuti, entrate e comprate. Ma quando io compro, posso far comprare a un narcos, posso far comprare a un'altra persona collegata alla criminalità organizzata, e lì possono cominciare in modo concreto le operazioni di riciclaggio, perché è consentito l'acquisto in criptovalute».

Le criptovalute viaggiano e alla fine possono essere piazzate su un conto alle Cayman o in altri paradisi fiscali, «ma lì la moneta poi diventa vera. Non è più criptovaluta, ma può diventare quella intestata a un conto corrente, con generalità anche dubbie. Questo, ovviamente, non è un fatto, è un'ipotesi di lavoro, che spero di poter realizzare quanto prima». Un auspicio che è anche una corsa contro il tempo: i meccanismi di riciclaggio si evolvono di continuo, seguendo la tecnologia. Ciò che era nuovo due anni fa adesso è obsoleto. E senza gli aggiornamenti tecnologici necessari i miliardi del narcotraffico continueranno a girare e a divorare l’economia sana.

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