La testimonianza nella Giornata mondiale contro il tumore al pancreas: «A tutti i miei compagni di viaggio auguro di vedere il mare e la speranza, anche dove il mare non c’è. Anche in un luogo di sofferenza»
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La storia commovente di un medico calabrese (è di Cariati, sullo Jonio cosentino) un musicista raffinatissimo che con il suo Squintetto, porta in concerto l’arte, la tradizione, la musica della nostra storia.
Un uomo che ama con tutte le sue foto, ma che dodici anni fa è precipitato nel baratro di una gravissima malattia. La sua forza? Dato per spacciato, non si è mai arreso, anzi ha combattuto con una forza impossibile la battaglia per la vita. Senza arrendersi mai.
Si chiama Cataldo Perri e combatte da troppo tempo contro una malattia terribile, di quelle che non perdonano e ti distruggono: il tumore del pancreas.
Gli avevano dato tre anni di vita. Ma lui, testardo, da dodici anni ha inscenato una folle lotta contro la morte, quella che Francesco d’Assisi definiva: «La nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun essere umano può scappare».
Ma Cataldo è scappato via. «Sono passati 12 anni da quel novembre 2010 quando sono stato depilato come un pollo e consegnato alle mani e alla sapienza del professore Alessandro Zerbi. Un tumore al pancreas, ecco l’intruso cinico che era entrato subdolamente, senza far rumore, nel mio corpo».
L’intervento, una velatura di speranza dopo una traversata nel buio e dopo essere stato licenziato da un altro ospedale con una prognosi cinica e data di scadenza, di fine vita. «L’intervento, un appiglio d’acciaio a una parete ripida e melmosa che mi accingevo a scalare».
La sua testimonianza diretta, cruda e senza fronzoli, la rende nella Giornata Mondiale contro il tumore pancreatico, da un reparto di ospedale. Essendo un bravissimo e appassionato musicista, il suo è un inno alla vita, un coraggioso appello a non smettere mai di combattere: «Quanti visi segnati dalla chemio ho incontrato in questi anni, quanti dialetti del sud ho sentito nei corridoi degli ospedali del nord. Facce segnate dall’emigrazione per lavoro prima e per curarsi poi. Alcune di queste facce e dei loro pensieri sono rimasti impigliati nella canzone Day Hospital hotel che ho scritto in una giornata di chemioterapia, quando davanti a me ci stavano due pazienti di Crotone, consumati dal mesotelioma, il temibile tumore polmonare contratto nei turni di lavoro alla Montecatini».
Quanto dolore, quanta disperazione, quanta paura quando hai la morte addosso e l’angoscia che viaggia nelle vene: «Alla mia destra faceva terapia un giovane che aspettava, con la moglie il primo figlio e graffiava il tetto con i suoi malipensieri. Ancora più in là un vecchietto tornato dall’America per non morire straniero. Io vedevo il mare. Ne sentivo la brezza, il profumo».
E lui Cataldo il medico, Cataldo l’ammalato grave, il gioioso musicista, il bravo scrittore, lancia le sue note di speranze: «A tutti i miei compagni di viaggio auguro di vedere il mare e la speranza, anche dove il mare non c’è. Anche in un luogo di sofferenza. Anche in un Day Hospital Hotel. Perchè il piccolo Davide con un sola pietra ha battuto Golia».