L’operazione ha fatto luce sui tentativi del sodalizio criminale di controllare le attività commerciali nel Cosentino. La quinta sezione penale ha annullato una presunta estorsione contestata all'indagato che rimane tuttavia in carcere
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La quinta sezione penale della Corte di Cassazione nella giornata di oggi ha emesso il verdetto sul ricorso presentato dall’indagato, Alessandro Forastefano, coinvolto nell’operazione “Kossa”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro e condotta dalla Squadra Mobile di Cosenza. L’indagine, seguita dal pubblico ministero antimafia Alessandro Riello, riguarda in particolare il clan Forastefano, operante nella Sibaritide, zona controllata anche dalla famiglia Abbruzzese, presente nel procedimento penale in questione. Secondo l’accusa, il presunto sodalizio mafioso avrebbe lavorato affinché sul territorio ogni attività commerciale dipendesse dal loro potere, vincolandosi anche dal punto di vista societario, attraverso intestazioni fittizie di beni.
Gli ermellini, valutando le istanze difensive degli avvocati Cesare Badolato e del professore Pierpaolo Rivello, hanno annullato il capo 18 della rubrica imputativa. Si tratta di una presunta estorsione, contestata ad Alessandro Forastefano, che sarebbe stata commessa ai danni di due persone: un autotrasportatore e un referente di una ditta operante nel Nord d’Italia nel settore ortofrutticolo. Tuttavia, la Cassazione ha confermato il titolo di reato relativo all’associazione mafiosa. Cade dunque l’ultimo reato fine, ma rimane il 416 bis, per cui Alessandro Forastefano permarrà in carcere, luogo in cui si trova sin dal giorno del blitz.