L’estate del 2022 si chiude con un grosso sospiro di sollievo rispetto al disastro dell’anno passato quando, in poco più di un mese, andarono distrutti migliaia di ettari di aree protette e macchia mediterranea, soprattutto nel Reggino. E il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto, ha illustrato con orgoglio i dati che dimostrano una netta diminuzione dei roghi rispetto allo scorso anno.

Ma se droni e segnalazioni social, politiche di risarcimento “al contrario” e convenzioni con le altre regioni hanno costituito un primo passo nel tentativo di contrasto alla “maledizione” degli incendi estivi, più di tutto, numeri alla mano, in questa estate dalla coda piovosa, hanno fatto le statistiche.

Il peso dei numeri

I dati storici relativi ai roghi che, ciclicamente, attaccano i patrimoni boschivi della nostra regione, parlano chiaro: ad ogni disastro segue un periodo, più o meno lungo, di tregua. È andata così nel 2013 quando i 292 incendi registrati provocarono la distruzione di quasi 3mila ettari di montagne, 1800 dei quali riguardavano il patrimonio boschivo. Un disastro che nulla aveva però a che vedere con quanto successo nell’estate precedente quando più di mille incendi diversi provocarono su tutto il territorio regionale una devastazione lunga più di 22mila ettari. Una ferita che ha riguardato, per più di due terzi del totale, aree boschive. E ancora nel 2018, quando le fiamme riuscirono a mangiarsi “solo” 2700 ettari di natura a fronte dell’inferno dell’estate precedente quando (tra giugno e agosto del 2017) andarono completamente perduti, a seguito di 1500 incendi accertati, più di 31mila ettari di meraviglie naturali, per quasi l’80% fatte di boschi e foreste. E di nuovo nel 2022, con la calma (almeno apparente) dopo la tragedia. Quattro i morti registrati dalle cronache lo scorso anno, tutti sorpresi dalle fiamme mentre tentavano di arginare il fuoco a difesa di terra e bestiame. Vittime che si aggiungono ad un bilancio devastante fatto di 28mila ettari andati completamente distrutti. Settemila dei quali tra le aree protette del parco nazionale d’Aspromonte. Una devastazione che ha avuto il suo apice tra il 29 luglio, quando le fiamme attaccarono i territori di San Luca e Gerace, e il 30 di agosto, con gli ultimi roghi a mordere ancora le foreste a monte della citta delle cento chiese, e che ha messo in luce le tante inefficienze ancora presenti nella lotta agli incendi.

I nodi sospesi

Carenza di mezzi e personale qualificato, scarsa conoscenza del territorio e sparuti punti di rifornimento per i mezzi spegnifuoco di terra. E ancora, strade “ufficiali” corrose dalla decennale incuria e sentieri soffocati dalle fiamme e dalle frane che ne sono seguite. Con i comuni che, in molti casi, non hanno nemmeno precisa contezza del perimetro interessato dagli incendi della scorsa stagione. Una situazione allarmante, soprattutto nel territorio della provincia di Reggio e in particolare all’interno dei confini della riserva protetta, su cui anche l’Associazione ufficiale delle guide del parco ha provato ad intervenire, con una serie di proposte recepite solo in parte. Un passo in avanti si registra sulla vigilanza attiva, con l’implementazione del servizio di controllo da remoto con i droni: una tecnologia comunque già nella disponibilità della protezione civile regionale che, negli anni passati e senza grande successo, aveva svolto un servizio di controllo in via sperimentale, sorvolando le aree boschive con macchine munite di termoscanner. Il passo successivo, anche per venire in aiuto a comuni che lamentano una pianta organica non in grado di adempiere alle disposizioni previste dai regolamenti, dovrebbe coinvolgere la “flotta” di droni anche sul versante della mappatura dei danni, ma i tempi potrebbero essere lunghi. Parere positivo anche per il protocollo che premia le associazioni antincendio sul totale non bruciato delle loro aree di competenza, ma il sistema era in vigore anche l’anno scorso nei 37 comuni del parco nazionale, e non ha comunque evitato il disastro. Sul piatto poi restano le altre criticità segnalate dagli esperti della montagna: a cominciare dai punti di avvistamento dei focolai disseminati sulle nostre montagne. In Aspromonte, ad esempio, circa il 70% del territorio del parco «non è visibile dai punti individuati che, seppure valenti e strategici, risultano inefficienti».

Le vacche sacre

E se il computo preciso del disastro figlio dei roghi del 2021 non è ancora del tutto chiaro, falle preoccupanti si aprono sul versante della tutela del territorio andato a fuoco. Territorio che dovrebbe essere preservato in ogni suo aspetto per facilitarne la rigenerazione, e che invece è ancora vittima del comportamento scorretto di tanti. Sul versante di Acatti, nella parte grecanica del Parco nazionale, una delle zone maggiormente compromesse dalle fiamme della scorsa estate, sono andati in fumo centinaia di ettari di pino calabro: boschi secolari completamente cancellati e su cui dovrebbe calare il riposo e che invece sono assaliti da mandrie di vacche sacre, lasciate a pascolare impunemente sulle promesse di nuove foreste.