Il 28enne nato a Siliana è accusato di aver abbracciato un’ideologia violenta che mira a destabilizzare gli ordinamenti statali. Le indagini fanno riferimento anche agli ultimi attacchi terroristici avvenuti in Europa
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Dalla Tunisia a Cosenza passando per il cyberspazio del radicalismo islamico: è la traiettoria seguita da Halmi Ben Mahmoud Mselmi, nato a Siliana, in Tunisia, nel 1997, residente nel capoluogo bruzio e oggi indagato per terrorismo internazionale. A suo carico, la Dda di Catanzaro contesta l’adesione all’organizzazione terroristica denominata Isis, accusandolo di aver abbracciato un’ideologia violenta che mira a destabilizzare gli ordinamenti statali, anche attraverso azioni autonome di jihad sul territorio europeo.
Calabria, nuova frontiera della radicalizzazione
L’inchiesta – condotta dalla Digos di Catanzaro e fondata su elementi investigativi italiani e internazionali – si muove sul terreno dell’estremismo islamico in contesti locali apparentemente periferici. Il radicamento del sospettato nel territorio calabrese, e in particolare a Cosenza, testimonierebbe come anche la Calabria sia diventata una delle aree di interesse per i gruppi jihadisti transnazionali, grazie alla presenza di soggetti vulnerabili alla propaganda estremista.
Nel caso di Mselmi, gli investigatori evidenziano una completa adesione ideologica ai precetti del fondamentalismo jihadista, e in particolare alla dottrina takfira, una corrente derivata dal salafismo che predica la violenta eliminazione degli apostati e la legittimità degli attacchi suicidi. Un credo radicale che, secondo l’accusa, Mselmi avrebbe introiettato profondamente, dichiarandosi pronto a sacrificare la propria vita in nome dell’Islam armato.
Tunisia, incubatrice del jihadismo globale
La Tunisia è uno degli snodi centrali per comprendere l’attuale scenario jihadista globale. È il primo Paese del Maghreb per numero di foreign fighters: tra i 3mila e i 5mila tunisini hanno combattuto per l’Isis in Siria, Iraq, Libia e Mali. Molti di questi, una volta rientrati, sono rimasti in clandestinità, mentre altri hanno utilizzato le rotte migratorie – soprattutto quella mediterranea – per raggiungere l’Europa e diffondere l’ideologia dello Stato Islamico.
Nelle carte dell’inchiesta emerge anche il fallimento della “Rivoluzione dei gelsomini” e delle speranze generate dalla Primavera araba che ha alimentato un clima di disillusione, soprattutto tra i giovani delle fasce sociali più deboli. Questo humus di disagio sociale ed economico possono aver rappresentato un fertile terreno di coltura per il radicalismo jihadista, che ha trovato nell’Isis un punto di riferimento tanto ideologico quanto pratico.
La strategia dell’Isis: reti leggere e jihad individuale
L’organizzazione terroristica dello Stato Islamico non necessita di cellule rigide e strutturate: basta un’adesione psicologica, l’accesso al web e la disponibilità a compiere azioni violente per entrare nel circuito della jihad globale. È questa la grande novità operativa che ha reso l’Isis più pervasivo di altre organizzazioni: un modello reticolare e orizzontale, capace di riorganizzarsi in base alle esigenze del momento.
Il jihad può essere condotto anche da soli, lontani dai territori del Califfato, attraverso l’attuazione autonoma di attentati – spesso suicidi – contro quelli che i terroristi considerano “miscredenti”. Secondo la giurisprudenza italiana, questa semplice disponibilità all’azione – anche solo a titolo di proselitismo, propaganda o arruolamento – è sufficiente a configurare l’adesione al sodalizio terroristico.
Gli attentatori tunisini in Europa: una scia di sangue
Il caso di Mselmi si inserisce in un solco tracciato da numerosi precedenti. I più efferati attacchi terroristici avvenuti in Europa negli ultimi anni hanno visto come protagonisti cittadini tunisini: Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, attentatore della strage del 14 luglio 2016 a Nizza, che ha causato 87 morti; Brahim Aoussaoui, autore dell’attacco nella basilica di Notre-Dame a Nizza, nell’ottobre 2020; Abdesalem Lassoued, autore dell’attentato a Bruxelles del 2023 contro tifosi svedesi; Anis Amri, terrorista del mercatino di Natale di Berlino del 2016; Ahmed Hanachi, l’assassino di due studentesse a Marsiglia nel 2017.
Tutti accomunati da alcuni elementi ricorrenti: nazionalità tunisina, arrivo a Lampedusa o via rotta balcanica, mancata integrazione e, spesso, contatti con reclutatori basati in Germania.
Dalla Tunisia all’Europa, passando per il web
L’inchiesta sottolinea anche il ruolo decisivo del cyberspazio nella diffusione dell’ideologia jihadista. La propaganda dell’Isis fa ampio uso dei social network, di forum e di canali criptati per diffondere messaggi, video e materiali di addestramento. Si parla di una vera e propria “chiamata al jihad” lanciata online, rivolta a chiunque desideri onorare la causa attraverso un attentato, anche in totale autonomia.
Questa propaganda è considerata dall’intelligence italiana «il più importante aspetto della guerriglia», in quanto crea consenso, recluta militanti e alimenta il mito del martirio.
Radicalizzazione a Cosenza: il profilo di Mselmi
Nel caso specifico, le autorità italiane hanno documentato come Mselmi si sia radicalizzato nel tempo, abbracciando integralmente la visione distorta del jihad come forma di riscatto personale. La sua adesione sarebbe stata totale, al punto da voler partecipare attivamente all’attuazione dei piani dell’Isis, sia come soggetto operativo, sia come simpatizzante e potenziale proselitista.
Secondo la Digos, il suo profilo rientra appieno nella categoria dei “lupi solitari”, cioè di quei soggetti che, pur non essendo inseriti in cellule strutturate, agiscono in nome dell’ideologia jihadista. È proprio questa estrema autonomia operativa a rendere più difficile il contrasto al terrorismo, che non si muove più solo lungo linee organizzative tradizionali, ma si frammenta in iniziative individuali ispirate dalla rete globale del terrore.