«Continua a giocare un ruolo decisivo il porto di Gioia Tauro, scalo strategico per posizione geografica e per volumi di merci in transito, che, anche nel 2020, ha consolidato la sua centralità nelle importazioni di cocaina in Italia; solo in quell’area, sono state effettuate 24 operazioni che hanno portato al sequestro di 6 tonnellate di cocaina, corrispondenti al 45% del volume complessivo dei sequestri effettuati in ambito nazionale».

Un’attività di sequestro che, nel 2020, ha segnato il record assoluto di 13,4 tonnellate; nella misura del 78,7% essa viene espletata in ambito frontaliero, che nella quasi totalità dei casi è quello marittimo. I dati emergono dalla relazione annuale che la Direzione centrale dei servizi Antidroga del Dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, nel trentennale della sua istituzione, ha presentato on line in vista dell'odierna giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di Droga (Risoluzione Onu del 42/112 del 1987).

Dopo il lockdown 3 ingenti sequestri di droga

La quantità maggiore (e sempre in aumento) di cocaina, prevalentemente proveniente dalla Colombia, transita dal porto di Gioia Tauro, nel territorio metropolitano di Reggio Calabria. Un traffico che il Covid ha solo temporaneamente fermato. La relazione dettaglia, infatti, la scansione temporale dei rinvenimenti tra i quali spiccano, nei mesi di gennaio-febbraio 2020, quello di oltre una tonnellata (kg 1.128) a Gioia Tauro, e quelli di quasi tre tonnellate e mezzo (kg 3.370,79) e oltre trecento kg (333,95), rispettivamente eseguiti a Livorno e alla Spezia. Dopo il lockdown, nel periodo ottobre-dicembre, contestualmente alla ripresa delle attività commerciali su larga scala, dove si insinua questo ingente traffico, quasi tre tonnellate sono state sequestrate (kg 2.862) in quattro distinte operazioni, di cui tre nel porto di Gioia Tauro e una in quello di Ancona.

Cocaina in Italia, oltre la metà sequestrata in Calabria

Nel 2020 in Calabria sono state sequestrate oltre 8 tonnellate di sostanze stupefacenti (kg 8.328,44), di cui quasi sette tonnellate e mezzo (kg 7.411,38) nel solo territorio metropolitano reggino. Ebbene l'84,52% del totale metropolitano e il 73,5% del totale regionale sono stati intercettati nel porto calabrese. Tutto ciò tenendo conto che in Calabria, nel solo 2020, è stato sequestrato il 53,69% di tutta la cocaina requisita a livello nazionale. Ma, per quanto di gran lunga più ingente, la cocaina non è l'unica droga a fare ingresso dal nostro paese.

Non solo cocaina

In Calabria, in particolare, la relazione riferisce dell'ingresso di eroina (1,06%), di hashish (0,31%), di marijuana (5,44%) e di piante di cannabis (11,65%). Tutte sostanze pericolose e dannose per la salute che una volta entrate, viaggiano a raggiungono le principali piazze di spaccio sparse in Italia e oltre. Sostanze che sono oggetto di altri reati, come lo spaccio, e di consumo da parte anche di giovanissimi che, come testimoniano le comunità impegnate sui territori, diventano sempre più precoci poli assuntori. Dunque dal porto calabrese fanno ingresso in Italia sostanze il cui allarme sociale è forse più chiaro al sistema repressivo, complice il ruolo indiscusso della ndrangheta nella sua gestione, di quanto ormai non lo sia a quello sanitario e sociale.

Il porto di Gioia Tauro pone la Calabria, tra le regioni con il maggior numero di sequestri di droga, con la Campania e la Lombardia. Quest’ultime due regioni con Lazio e Sicilia, sono anche quelle con valori assoluti più alti relativamente alle operazioni antidroga e alle denunce; se è assolutamente strategico impedirne l'ingresso è pur vero che l'allarme sociale si scatena dopo, quando arriva nelle piazze di spaccio, Scampia a Napoli una su tutte.

Il potere della 'ndrangheta

«In questo complesso scenario, si rafforza il ruolo egemone della ndrangheta calabrese, che ha conservato una posizione privilegiata nei circuiti globali del narcotraffico, grazie alla presenza di propri segmenti e broker operativi, stabilitisi nei luoghi di produzione e nelle aree di stoccaggio temporaneo delle droghe, non solo sul territorio nazionale, ma anche a livello europeo, con particolare riguardo all’Olanda ed alla Spagna. Le informazioni a disposizione della Direzione confermano la stabilità dei collegamenti della ndrangheta, funzionali alla gestione del narcotraffico, con componenti di Cosa Nostra, della Camorra, delle organizzazioni criminali pugliesi, nonché con compagini criminali straniere», si legge nella relazione.

I sequestri attestano ingenti volumi di droga in transito, segno della persistente pervasività della ndrangheta, la cui attività principale è il narcotraffico, con potenti emanazioni nei luoghi di produzione, stoccaggio ed evidentemente anche arrivo e che si è specializzata nel garantire l'ingresso via mare attraverso lo scalo di Gioia Tauro. Una dominanza mantenuta e alimentata nel tempo in forza della evidente e crescente caratura criminale e della posizione geografica strategica dello stesso scalo. Una pervasività che richiede e ottiene la massima attenzione da magistratura e forze dell'ordine.

Le nuove rotte        

Accordi tra gruppi criminali per massimizzare i profitti e puntare su direttrici più sicure, con di aree di stoccaggio vicine ai luoghi di approdo, stanno diversificando le vie di transito della cocaina e la mappatura dei relativi scali intermedi e finali di approdo. I trasporti dello stupefacente avvengono in prevalenza con spedizioni su navi portacontainer e navi da carico. "È da ritenere configurabile - si legge ancora nella relazione - una nuova rotta che, attraverso la regione meridionale del continente europeo, trasferisce lo stupefacente proveniente dal Sudamerica verso gli hub della Grecia e dei Paesi prospicienti al Mar Nero, come la Bulgaria, la Romania e l’Ucraina. In questo contesto operativo, continua a giocare un ruolo decisivo il porto di Gioia Tauro".

Cenni storici del Porto di Gioia Tauro

Un fiume di miliardi di lire e migliaia di posti di lavoro, queste le promesse mancate del ‘pacchetto Colombo’ contenente interventi straordinari, rivelatisi nel tempo fallimentari e dannose, per la Calabria. Tra questi anche le misure compensative per Reggio, non diventata capoluogo di Regione. Siamo nel contesto complesso e tormentato degli anni Settanta. Dopo i moti di Reggio inizia l’epoca delle cattedrali del deserto, tra cui la Liquichimica di Saline Joniche costruita e mai entrata in funzione, e quella degli annunci disattesi. Tra questi la costruzione del quinto centro siderurgico d’Italia che avrebbe dovuto sorgere a Gioia Tauro. Esso non fu mai realizzato.

Cosenza ebbe la sua Università, Catanzaro divenne capoluogo e Reggio, alla quale era stato promesso un rilancio industriale, venne solo illusa.

Ebbene l’idea di un porto a Gioia, in funzione dal 1995, oggi principale scalo di transhipment del Mediterraneo e che avrebbe dovuto servire il fantomatico centro siderurgico, nacque proprio in questo frangente storico.

La sua costruzione ebbe inizio nella metà di quegli stessi anni Settanta con la realizzazione di banchine, moli e bacini. Le risorse utilizzate furono quelle del progetto speciale per la realizzazione delle infrastrutture sul territorio della provincia di Reggio Calabria, finanziate con una delibera del Cipe nel 1974. La crisi del comparto siderurgico rallentò i lavori negli anni Ottanta, facendo naufragare la promessa della costruzione del quinto centro siderurgico. Lo scalo, tuttavia, fu costruito.

In luogo del polo si tentò di insediare in seguito una centrale a carbone, anche questa mai sorta. Ciò che invece venne realizzato fu questo scalo che però mutò la sua vocazione industriale in commerciale.

Il destino commerciale dello scalo reggino

L'intuizione fu dell’armatore genovese Angelo Ravano negli anni Novanta. La posizione mediana lungo la direttrice Suez – Gibilterra e quella baricentrica nel mar Mediterraneo, infatti, invocavano un destino commerciale per il porto di Gioia Tauro. Esso si proponeva come promettente scalo dedito al transhipment di contenitori e merci, affermatosi proprio sul finire degli anni Ottanta. L’incremento del trasbordo di merci in container in quel momento rappresentò una imperdibile occasione di rilancio per questo scalo e di occupazione per il territorio. 

L’opportunità fu colta e la trasformazione ebbe luogo. A renderla possibile furono le significative potenzialità della zona con grandi spazi a ridosso delle banchine portuali, la vastità degli accosti e la profondità dei fondali (fino a 18 metri). Guardando ai grandi porti nazionali, c’erano anche in Calabria tutte le carte in regola per rimodulare i programmi di infrastrutturazione, come subito fu fatto.

Condizioni di favore e posizione che a distanza di più di trent’anni, nel 2014, hanno determinato la designazione dello stesso scalo come riferimento per il contributo dell’Italia alla storica e delicata operazione di disarmo della Siria.

Nel tempo l’attività portuale, al centro anche di numerose inchieste giudiziarie di contrasto al narcotraffico per l’ingerenza delle ndrine locali ed anche attenzionata dalla commissione parlamentare antimafia, è cresciuta fino a raggiungere i tre milioni di container movimentati all’anno dalla principale società terminalista Mct del gruppo Contship.

Le crisi e le promesse

Con una banchina lunga 3,4 chilometri e strutture che comprendono 22 gru di banchina in grado di raggiungere fino a 23 file di container, oltre un migliaio di dipendenti e una capacità massima di 4 portacontainer ultra grandi, lo scalo rimane, tuttavia, ancora un potenziale tutto da sfruttare e implementare, non risparmiato dalla crisi e da nuove promesse da mantenere tra le quali quelle della dimensione di intermodalità e quella ormai più che decennale di istituzione di una Zes (Zona Economica Speciale), ossia un'area di applicazione di agevolazioni economiche e defiscalizzazioni di investimenti costi e profitti, per aziende che svolgano attività di natura logistico/distributiva o di natura industriale e aziende di servizi, con particolare riferimento alle operazioni di importazione, deposito merce, confezionamento, trasformazione, assemblaggio, riesportazione merce.

Un intento di vitale attività del transhipment, che renderebbe il porto calabrese il più grande e strategico del mar Mediterraneo, che torna periodicamente alla ribalta nell'agenda politica senza mai essere concretizzata. Anche adesso si registra un nuovo impulso con riferimento ai piani del Recovery Fund per la Calabria e all'opportunità, se saremo in grado di coglierla, che tali piani potrebbero rappresentare.

26 giugno 1996

Approdata alla cronaca nera per il Sunday Indipendent negli anni Novanta, dopo avere avviato la sua carriera giornalistica nelle redazioni del Sunday Business Post e del Sunday Tribune, la giornalista irlandese Veronica Guerin, nonostante avesse ricevuto minacce e fosse stata aggredita, continuò a condurre inchieste importanti sui traffici di stupefacenti a Dublino. Uccisa in pieno giorno a colpi di pistola, il 26 giugno 1996, nel giorno che già da alcuni anni a livello internazionale era occasione di riflessione sul traffico di droga e sui suoi devastanti effetti, non fu dimenticata. La sua uccisione scosse profondamente la comunità e destò una forte reazione tra la gente e nelle istituzioni, segnando il passo di una delle più significative svolte nella storia giudiziaria e nel panorama legislativo penale del Paese. Il parlamento irlandese a distanza di settimana dal delitto promulgò il Proceeds of Crime Act 1996 e il Criminal Assets Bureau Act 1996. Da allora i beni acquistati con i proventi di attività criminali possono essere sequestrati dallo Stato. Fu fondato a questo scopo il Criminal assets bureau (Cab).