Continuano a riservare diversi particolari inediti, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia di Nicotera Marina, Pasquale Megna, entrate a far parte del maxiprocesso d’appello nato dall’operazione Rinascita Scott.

Il collaboratore si è in particolare soffermato sulla figura di Pasquale Quaranta, 60 anni, di Santa Domenica di Ricadi, che sta scontando in via definitiva l’ergastolo quale mandante dell’omicidio di Saverio Carone, avvenuto a Santa Domenica il 12 marzo 2004, e per i tentati omicidi di Ivano Pizzarelli, commesso a Tropea il 30 novembre 2002, e Pietro Carone, fratello di Saverio, commesso nel 2004. “Pasquale Quaranta era sempre a casa di Pantaleone Mancuso, detto Luni "Scarpuni", ed è venuto anche ai compleanni del figlio di "Scarpuni", Salvatore Mancuso, mio cugino. Quando io ho avuto un incidente con la moto nel giugno 2001 – ha ricordato il collaboratore Megna – Pasquale Quaranta è venuto in ospedale per portarmi da mangiare. E’ stato lui a farmi mettere in una camera da solo nell'ospedale di Tropea”.

Quaranta e i ricoveri a Tropea

“Pasquale Quaranta non lavorava in ospedale ma all'interno della struttura faceva quello che voleva. Andò dal dottore a dirgli di togliermi da una camera e di mettermi in una stanza da solo, con una televisione: ha fatto allestire una stanza solo per me. All'epoca ero ragazzino e all'inizio stavo in camera con un vecchietto che si lamentava, per questo chiesi a Pasquale Quaranta – ha spiegato Pasquale Megna – di farmi spostare. Quando arrivava lui in ospedale diceva agli infermieri ed ai dottori tutto quello che voleva. Veniva lui solo perché mio padre era a Milano, dato che mia nonna materna era stata operata per un tumore. Se ci fosse stato mio padre, Quaranta non sarebbe mai venuto perché Pasquale Quaranta non aveva un buon rapporto con mio padre”.

Pasquale Megna ricorda quindi che sarebbe stato Antonio Mancuso a commentare con il padre, Assunto Megna, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Peter Cacko, killer straniero assoldato da Pasquale Quaranta per commettere diversi fatti di sangue. Al centro dei commenti tra Mancuso e Megna, una bomba che sarebbe stata piazzata da Peter Cacko nell’auto di Domenico Cupitò, alias “Pignuni”, ritenuto un fedelissimo del clan Mancuso, ed anche la circostanza di aver eseguito lo stesso Cacko a Tropea il tentato omicidio di Ivano Pizzarelli, quest’ultimo condannato in via definitiva per associazione mafiosa (clan Mancuso) nel processo Dinasty. “Per come parlava Antonio Mancuso, Pasquale Quaranta – ha aggiunto Megna – era in mezzo anche all’omicidio di Saverio Carone, ucciso davanti alla Posta di Santa Domenica di Ricadi. Non so dire cosa ci fosse dietro l'omicidio perché all’epoca la mia famiglia vedeva Luni "Scarpuni" con il fumo negli occhi e in quel periodo Quaranta era vicino a Scarpuni”.

Pasquale Megna in ordine alle visite che riceveva nel periodo del suo ricovero all’ospedale di Tropea ha però aggiunto un particolare significativo: oltre a Pasquale Quaranta ad assisterlo c’erano anche la “zia Tita Buccafusca e la moglie di Tonino La Rosa”, ovvero Tomasina Certo, quest’ultima attualmente sotto processo nell’operazione Olimpo quale presunta “cassiera” del clan di Tropea. “Durante il mio ricovero all’ospedale di Tropea sono stati proprio i La Rosa e Pasquale Quaranta ad occuparsi dei pranzi da portarmi e che venivano presi in un ristorante, così come delle colazioni e tutto il resto. Questo – ha aggiunto Megna – per il rispetto che i La Rosa avevano verso mia zia Tita Buccafusca e verso i Mancuso”.

Megna e i medici

Così come in precedenza i collaboratori di giustizia, Andrea Mantella di Vibo Valentia e Marcello Fondacaro di Gioia Tauro (quest’ultimo medico e imprenditore), anche Pasquale Megna nelle sue dichiarazioni ha chiamato in causa i dottori Tripodi e in particolare il defunto medico Franco Tripodi di Gioia Tauro, per anni dirigente medico dell’ospedale di Tropea, nonché sposato con Cettina Piromalli, quest’ultima figlia di Girolamo Piromalli, alias don Mommo, fondatore e capo storico dell’omonimo clan e fra i più importanti – se non il più importante – boss della ‘ndrangheta, deceduto nel 1979 per un male incurabile. “Con riferimento ai professionisti che erano a nostra disposizione posso riferire – ha ricordato Megna – che avevamo alcuni medici di fiducia, in particolare i tre fratelli Tripodi, di nome Franco, Antonio ed un altro che ora non ricordo. Parliamo di soggetti molto, ma molto influenti. Anche quando ebbi l'incidente con la pistola, quando nell'agosto del 2008 mi sparai nella gamba, mi rifiutai di andare in ospedale e venne a casa nostra dopo qualche giorno Franco Tripodi, il quale mi accompagnò con la sua macchina, una Bmw X5 o X3, presso l'ospedale di Tropea dove lui lavorava, per fare delle lastre. Ricordo che venne scritto il falso nella cartella clininca e che dovevano operarmi ma poi non se ne fece nulla perché il medico di turno era la moglie di un finanziere”.

La consorte del boss di Tropea dalla Buccafusca

Pasquale Megna ha quindi svelato anche altri particolari inediti. Tomasina Certo – consorte del boss Tonino La Rosa (attualmente recluso in regime di 41 bis) – avrebbe assiduamente frequentato a Nicotera Marina la casa di Tita Buccafusca, la moglie del boss Pantaleone Mancuso, “Scarpuni” (all’epoca detenuto), poi morta il 18 aprile 2011 ingerendo acido muriatico. “Ricordo – ha dichiarato Megna – che in un’occasione Tomasina Certo, detta Masina, ha portato a mia zia Tita Buccafusca, a casa di quest’ultima a Nicotera Marina, una busta piena di soldi, circa 600mila euro tutti in una volta. Si trattava di denaro proveniente dagli affari illeciti e dalle estorsioni praticate dai La Rosa a Tropea, la loro zona. Pantaleone Mancuso, Scarpuni, era all’epoca detenuto e quindi i soldi venivano portati alla moglie Tita Buccafusca che è anche mia zia”.