Roghudi Vecchio, il borgo fantasma per eccellenza in Calabria, è situato su un colle all'interno dell'Aspromonte nell'area grecanica. Il suo nome deriva dal greco “Richùdi” o “Rigùdi”, che vuol dire rupestre. Il paese, costruito al centro di in un costone roccioso, è circondato dalla fiumara Amendolea e dal torrente Furria. La fiumara Amendolea è la più importante del territorio aspromontano: parte dalle montagne vicino Gambarie per un percorso di 32 chilometri fino a sfociare a mare nei pressi di Condofuri Marina nello Ionio. Si dice che in passato fosse anche navigabile, motivo per cui in antichità molti paesi venivano costruiti in zone poco accessibili per proteggersi dalle incursioni che arrivavano dal mare.

Il paese di Roghudi Vecchio era abitato sin dal 1050 ma nel 1971 una grande alluvione interessò la zona e, dopo i tanti morti, il sindaco di allora, Angelo Romeo firmò un'ordinanza che imponeva lo sgombero della sua popolazione di circa 1700 abitanti, che in gran parte venne accolta. Alcuni anziani continuarono invece a viverci fino al 1973, quando la notte del 29 dicembre un'altra più violenta alluvione colpì la zona. Solo a quel punto tutti furono costretti ad abbandonare il borgo e trasferirsi nei centri più vicini. Dopo diciotto anni, nel 1988, nascerà la nuova Roghudi a circa 40 chilometri nel territorio di Melito Porto Salvo. Il comune cedette una piccola parte del suo territorio per far sorgere la nuova Roghudi, dove fu costruito il paese i cui oggi vivono 941 abitanti.

L'amministrazione, oggi, sta tentando di recuperare il borgo con vari progetti. Quello più importante è il “progetto dei borghi storici”, promosso dalla Regione. Non è un caso che su 359 progetti, quello per Roghudi si sia attestato al primo posto. Presto, dunque, interessato da interventi di riqualificazione. Ogni tanto un ex abitante di 80 anni, Bruno Stelitano, sente il bisogno di salire e trascorrere una giornata nei luoghi in cui può mantenere vivo il ricordo del passato. È lui il nostro Cicerone, perché sua è la descrizione fotografica dei luoghi e dei suoi abitanti di un tempo, lui la guida all'interno dell'abitazione dell'ultimo abitante, Pangallo Leone, morto nel 2013, la cui casa è fruibile per gli escursionisti che vi possono soggiornare ma con l’impegno di lasciare tutto pulito e di non intaccare ciò che Pangallo ha lasciato. A partire dalle sue scarpe e dagli abiti ancora appesi esattamente lì dove li aveva lasciati lui.