Il dramma dell’impatto sulla secca e la lotta con il mare per guadagnare la riva. E poi le indicazioni «approssimative, se non fuorvianti» arrivate da Frontex su rotta e velocità tenuti dal caicco e l’obbligo imposto ai migranti di rimanere sotto coperta quando le cose ormai erano precipitate. Le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Crotone ha condannato a 20 anni di reclusione e a tre milioni di multa il trentenne turco Ufuk Gun, ripercorrono la drammaticità delle ultime ore della Summer Love.

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Sono le testimonianze dei sopravvissuti al naufragio di Steccato a tratteggiare il ruolo di Gun durante il viaggio: almeno dieci quelle raccolte dal tribunale che convergono per incastrare alle sue responsabilità il giovane turco, che in aula, poco prima della condanna, aveva provato a difendersi dichiarandosi perseguitato politico in patria quando ad interrogarlo fu per primo il suo avvocato difensore Salvatore Falcone.

Le rassicurazioni

In balia delle onde e in mare oramai da 5 giorni, la situazione sul caicco è molto tesa. I migranti chiedono spiegazioni, hanno paura, chiedono di chiamare i soccorsi. Richieste vane e rimbalzate dagli scafisti che per tranquillizzare le persone sotto coperta mostrano su un tablet la vicinanza dell’imbarcazione alle coste italiane. «Gli accordi erano che ci avrebbero fatto sbarcare sulla terra ferma in Italia e per tale necessità avrebbero atteso il 26 febbraio, in quanto essendo domenica, sarebbe stato improbabile incontrare controlli di motovedette italiane. Voglio sottolineare – racconta il testimone Rohullah Kabiry, il primo a individuare l’imputato come componente dell’equipaggio, pilota e meccanico della nave – che quando l’imbarcazione si è fermata, noi migranti ci siamo lamentati perché impauriti dalle condizioni del mare e volevamo che venissero chiamati i soccorsi, ma gli stessi 4 componenti dell’equipaggio (gli altri tre sono attualmente alla sbarra nel processo in corso con rito ordinario) per tranquillizzarci ci hanno mostrato l’Ipad raffigurante la rotta e la distanza fino alla terraferma, specificando che volevano far trascorrere quelle ore per poterci sbarcare nel cuore della notte per eludere i controlli di polizia. Ho controllato sul mio telefonino ed erano circa del 21 del 25 febbraio. Nessuno, sebbene glielo avessimo richiesto, ha chiamato i soccorsi, né noi potevamo farlo visto che i telefoni non avevano linea».

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Lo schianto

«Nell’ultima mezz’ora l’imbarcazione ha cambiato andatura, andando molto velocemente nonostante il mare fosse molto mosso. Quando la barca era ad alta velocità – ha raccontato al giudice Ali Namzai, che su quella barca maledetta era imbarcato assieme a circa 20 membri della sua famiglia – abbiamo sentito un forte urto e, in meno di un minuto, sotto coperta vi era già molta acqua. Io sono salito in coperta e ho aiutato mio cugino e la mia fidanzata ma non sono riuscito a fare salire mio zio e tanti altri membri della mia famiglia perché ormai la parte inferiore della barca era colma d’acqua. A distanza di due minuti dal primo forte urto la barca si è spezzata e io con la mia fidanzata ci siamo abbracciati ad un pezzo di legno ma siamo stati investiti da un’onda del mare intrisa di carburante e in questo frangente ho perso di vista la mia fidanzata. Con estrema difficoltà ho raggiunto a nuoto la spiaggia e ho vomitato. Appena ho ripreso le forze mi sono buttato in acqua per cercare la mia fidanzata ma non ho trovato nessuno, ho perso le speranze e mi sono seduto in spiaggia. Subito dopo sono arrivati i soccorsi».

Le indicazioni «fuorvianti» di Frontex

Una tragedia senza precedenti in Calabria quella della Summer Love. Una tragedia avvenuta nonostante Frontex – l’agenzia europea che si occupa del pattugliamento del Mediterraneo –avesse segnalato la presenza del barcone individuato dall’aereo “Eagle 1”. Segnalazione a cui però, raccontano le motivazioni della sentenza, sono seguite dalla stessa Frontex, indicazioni «fuorvianti» su rotta e velocità del caicco. È l’ammiraglio Salvatore Carannante a raccontare in aula (incrociando carte nautiche, rilievi batimetrici eseguiti dai sommozzatori, sit dei testimoni oltre alle stesse indicazioni fornite dall’agenzia europea) le ultime ore dell’imbarcazione.

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«Dalla posizione dell’imbarcazione sulla cartografia “open street map” come indicato da Eagle 1, l’unità con i possibili migranti sarebbe dovuta giungere nella zona della baia di Copanello, quindi ben più a sud-ovest di Steccato di Cutro. La distanza che avrebbe dovuto percorrere seguendo la rotta indicata da Eagle 1 nel report di missione, sarebbe stata circa 53 miglia nautiche. Considerata la velocità indicata in 6 nodi, avrebbe dovuto completare il percorso in 9 ore a partire dall’avvistamento». Sono due le rilevazioni che l’aereo di Frontex fornisce alle istituzioni italiane rispetto alla posizione della barca. Una alle 21:26 e una alle 21:31: incrociando questi dati, l’ammiraglio Carannante è riuscito a individuare però una rotta e una velocità diverse da quelle suggerite da Frontex. «Riportando le due posizioni rilevate da Eagle 1, si rileva che la rotta media seguita dall’imbarcazione era di 325 gradi e non 296 come indicato nel rapporto di missione – si legge nella relazione ancora parzialmente coperta da omissis – con tale rotta, l’imbarcazione con i possibili migranti a bordo sarebbe giunta a Capo Rizzuto, ovvero 8 miglia nautiche più ad est del luogo dove sono stati ritrovati i rottami del relitto». A suffragare le ipotesi avanzate dall’ammiraglio Carannante poi, anche le rilevazioni fornite dal Radar della Guardia di Finanza in località Campolongo, nel territorio di Isola Capo Rizzuto: «Anche questi dati –  scrive nella sua relazione Carannante – confermano che le indicazioni riportate da Eagle 1 sul proprio rapporto di missione erano poco attendibili e fuorvianti».

Il costo di una vita

«L’imbarcazione poteva valere 20mila euro, guadagnando anche un milione di euro, hanno fatto uccidere donne e bambini innocenti, a chi dovete rispondere? – chiede in aula direttamente agli scafisti uno dei sopravvissuti – Rispondete voi, ma come fa la vostra coscienza a stare tranquilla? Il loro pensiero era semplicemente di fare tornare l’imbarcazione in Turchia, alla fine questa imbarcazione quanto poteva valere? Ci avevano assicurato che in caso di maltempo i capitani avrebbero chiamato la polizia italiana per salvare i passeggeri e di non preoccuparsi. E quando ci lamentavamo e gli ricordavamo le promesse di chiamare i soccorsi ci rispondevano continuamente che dovevano riportare l’imbarcazione in Turchia. Ma questa imbarcazione quanto poteva valere davanti alla vita di tutti questi bambini, donne e uomini?».

Aspettavamo la morte

«Nel momento dell’impatto – racconta al presidente Elisa Marchetto un altro sopravvissuto al naufragio – quando ha iniziato ad entrare l’acqua donne e bambini piangevano e gridavano, mi sono avvicinato alla scaletta per salire in coperta e c’erano molti passeggeri lì perché non li facevano salire. Quando sono salito già l’acqua mi arrivava sotto la gola. Le onde erano molto alte e mi sono aggrappato ad un pezzo di legno e ho semplicemente aspettato la morte. Tutti aspettavano la morte, io perlomeno aspettavo la morte perché le onde erano molto alte e molto forti e non si poteva fare nulla».