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"Il clan Mancuso “uno Stato nello Stato”". L’eloquente l’espressione utilizzata dal gup distrettuale di Catanzaro Maria Rosaria Di Girolamo, nelle motivazioni della sentenza inerente il filone del maxiprocedimento “Black money – Overseas – Purgatorio”, celebratosi con rito abbreviato, a carico di esponenti apicali e accoliti del potente casato ’ndranghetista di Limadi e Nicotera. Nonostante la sentenza "Dinasty", il clan - scrive il gup nei motivi appena depositati - ha "continuato ad operare sul territorio attraverso il proprio potere di intimidazione. Le vecchie indagini, in sostanza, lungi dall'essere state vane – si legge ancora - non hanno impedito alla consorteria di mantenere il controllo nel Vibonese, dato, quest'ultimo, che consente di qualificare l'estrema e pervasiva incidenza dell'associazione criminale, radicata così fortemente da essere in grado di non mutare, malgrado i numerosi interventi delle forze di polizia e dell'autorità giudiziaria, la condizione generalizzata di assoggettamento e di omertà della popolazione, ponendosi addirittura come “uno Stato nello Stato”". Un potere che si esplica attraverso i reati fine, "facendo ricorso a minacce che in alcuni casi sono state esplicite, in altri più velate, proprio per il generale riconoscimento, da parte della popolazione, del potere di intimidazione della famiglia Mancuso che non necessitava di azioni di forza proprio in virtù dell'affermazione ormai consolidata sul territorio".