VIDEO | Il collaboratore al pool di Gratteri sul presunto narcos dei Mancuso: «Videocamere spente? Che le tieni a fare?». Potevano riprendere l’uomo col cappellino, l’utilitaria nera e la Golf grigia. L'imprenditrice di Laureana di Borrello venne inghiottita dalla lupara bianca nel maggio 2016
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«Io mi chiedo “che le tieni a fare se le spegni? È mai possibile che tieni le telecamere e le tieni spente?”». È il 18 giugno del 2018 quando, interrogando Emanuele Mancuso, i pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro s’imbattono nel giallo della scomparsa e dell’uccisione di Maria Chindamo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello inghiottita dalla lupara bianca alle 7.15 del 6 maggio 2016.
Emanuele Mancuso - figlio del boss Pantaleone detto Luni l’Ingegnere, nipote dei boss Peppe, Diego e Francesco Mancuso, pronipote del “capo dei capi” Luigi Mancuso - parla di Salvatore Ascone meglio conosciuto come ’u Pinnularu, presunto narcotrafficante legato al casato mafioso di Limbadi e Nicotera, la cui tenuta si trova in località Montalto, esattamente di fronte all’accesso dell’azienda agricola di Maria Chindamo, teatro dell’aggressione e del rapimento. Le telecamere spente erano appunto sue.
L’asse Catanzaro-Vibo
Quelle dichiarazioni vengono trasmesse dal pool di Nicola Gratteri alla Procura di Vibo Valentia, che nel luglio del 2019, manderà i carabinieri ad arrestare proprio Ascone. Secondo il costrutto accusatorio, poi smontato dal Tribunale del Riesame di Catanzaro - che a distanza di un anno da allora non ha ancora depositato i motivi della sua decisione - l’uomo dei Mancuso avrebbe fatto disattivare la telecamera di videosorveglianza che punta sulla strada antistante la sua proprietà e, quindi, sulla scena del crimine. Quegli atti oggi tornano a Catanzaro, come il resto del fascicolo sul caso Chindamo a quale finora ha lavorato la Procura di Vibo Valentia. Perché - è l’ipotesi a cui lavora il pool di Nicola Gratteri, che Ascone lo indaga anche nella maxioperazione Rinascita Scott - nella scomparsa di Maria Chindamo, sullo sfondo o in primo piano, c’entra comunque la ’ndrangheta.
Le macchine in affitto
Mancuso, in quell’interrogatorio, va oltre, spiegando i suoi rapporti con Ascone proprio durante quel periodo. Racconta due episodi. Il primo lo colloca successivamente alla scomparsa di Maria. Al Pinnularu avrebbe procurato della «macchine in affitto a Vibo Valentia». Le avrebbe prese «sempre senza contratto, quando ci fu la scomparsa della signora accanto, quella di Laureana di Borrello. Gli avevano sequestrato le auto ed erano rimasti a piedi». È abitudine della mala, da quelle parti, servirsi di auto anonime, prese senza alcun contratto da noleggiatori vittime o compiacenti, eventualmente anche per commettere reati.
Il sospetto della gola profonda
Il secondo dettaglio, Emanuele Mancuso, non riesce a collocarlo con certezza temporale: «Ricordo che sono stato incaricato da Ascone di rimuovere una videocamera che era posta al bivio Vibo-Mileto-Rosarno e da lì si dovrebbe andare per Limbadi, vicino alla cava di Tonino Pesce, nella zona dove stavano le squillo. Era posta su un albero di quercia. Non ricordo - dice ancora il collaboratore di giustizia - se ho staccato la telecamera prima o dopo la scomparsa della donna, posso solo dire che lui al cento per cento mi ha mandato a smontarla». E ancora: «Mi ha destato sospetto il fatto della richiesta di smontare la telecamera del bivio di Rosarno: era molto distante dalla sua campagna e poi mi ha sorpreso che abbia chiesto di smontarla: puntava sulla strada dalla quale si vedevano le macchine che andavano da Nicotera-Limbadi verso Rosarno o viceversa».
«Lui vedeva tutto»
A dire di Mancuso, Salvatore Ascone (ribadiamo che la misura restrittiva a suo carico è stata annullata dal Riesame, ma le motivazioni non risultano ancora depositate) avrebbe avuto un’attenzione maniacale per le telecamere. Ed era veramente un fatto anomalo che proprio il giorno della scomparsa di Maria l’impianto della sua tenuta fosse spento: «Recandomi spesso presso l'abitazione di Ascone che frequentavo quasi tutti i giorni - si legge nel verbale - ho sempre notato che era solito monitorare, con sistemi di videosorveglianza, tutti i luoghi di sua proprietà, sia l'abitazione, sia la casa di campagna, nonché i capannoni e i luoghi in cui aveva beni o animali». Inoltre, in casa sua, «disponeva di un grosso monitor da cui si inquadravano tutte le vie di accesso, attraverso numerose telecamere di alta qualità, da cui si vedeva tutto». Pertanto egli era particolarmente attento a al funzionamento di questo sistema, al punto che quando c’erano dei guasti subito chiamava un tecnico affinché se ne occupasse».
LEGGI ANCHE: Omicidio Chindamo: «Ascone complice dei killer. Obiettivo ora è ritrovare i resti di Maria»
La moglie disse: «Non è vero»
E Mancuso, di questo tecnico, pronuncia anche il cognome. Nei giorni della scomparsa di Maria - aggiunge il collaboratore - «presso la casa di campagna le videocamere erano spente: lo so perché mi disse lui stesso di avere anche in campagna un sistema di videoriprese e che, proprio quel giorno della scomparsa, le telecamere erano spente. La moglie, invece, sentendolo parlare con me di questo fatto, si precipitò a dire che non era vero che le telecamere erano spente, ma le stesse, in realtà, non avevano funzionato». Qualcosa non tornava, per Emanuele Mancuso, che ribadisce: «Per quanto a mia conoscenza, Ascone prestava grande attenzione al funzionamento delle telecamere, per cui se non avessero funzionato, lui le avrebbe immediatamente fatte riparare perché su questo aspetto era quasi paranoico».
Movente alternativo o complementare
Quel verbale è molto interessante, perché gli inquirenti della Dda di Catanzaro sono molto scrupolosi nell’incalzare sulla figura di Salvatore Ascone. Nelle risposte del collaboratore non si trova un chiaro riscontro ma neppure una precisa smentita alla possibilità che dietro la scomparsa di Maria Chindamo - avvenuta come si ricorderà nell’anniversario del suicidio del marito, che non resse alla fine del loro matrimonio - possa esserci un movente alternativo o complementare a quello sin qui considerato come la pista principale: ovvero una vendetta maturata in ambito familiare. Maria era infatti ritenuta responsabile della sofferenza del marito che, dopo la loro separazione, si suicidò; dopo il suicidio, inoltre, Maria aveva anche ereditato beni e attività economiche del coniuge.
Le terre dei vicini
Ancora Mancuso: «Ascone aveva interesse ad acquisire i terreni di proprietà dei vicini e, per timori circa possibili misure di prevenzione nei suoi confronti, era solito pagarli prima in contanti, per evitare la tracciabilità dei pagamenti, lasciarli formalmente intestati agli originari proprietari, per acquisirli successivamente attraverso l'usucapione. Per quanto a mia conoscenza, i proprietari dei terreni erano consenzienti. Ascone portava le pecore dove voleva lui e so che per questa ragione ha anche litigato con la figlia di mia zia Rosaria Mancuso, ossia mia cugina Rosa».
La zia Rosaria e le altre liti
Rosaria Mancuso - sorella di Pantaleone l’Ingegnere, padre di Emanuele -, per intenderci, è la donna oggi è detenuta e sotto processo perché ritenuta la mandante dell’autobomba che il 9 aprile 2018 uccise Matteo Vinci e ferì gravemente il padre del biologo di Limbadi, Francesco. Il movente, secondo la Dda, in quel caso era da ricercare nei litigi per un terreno conteso tra la famiglia di Rosaria Mancuso ed i Vinci. In sostanza, se Ascone doveva litigare con qualcuno - a sentire il giovane pentito - non si faceva scrupolo.
Precisa Emanuele Mancuso: «Non so dire se Ascone abbia avuto litigi anche con la Chindamo o con il suocero della Chindamo per i terreni di loro proprietà, per avervi liberato le pecore al pascolo o per aver manifestato interesse all'acquisto dei predetti terreni. Anche se posso dire che, per quanto io ne sappia, tutti i pecorai ed i pastori della zona sono soliti litigare con i proprietari dei terreni limitrofi».
Quell’occhio spento
Fin qui l’aura mafiosa su un personaggio, Salvatore Ascone, che nelle indagini sulla scomparsa di Maria Chindamo finora è stato centrale. Indagini, come detto, passate dalla Procura di Vibo alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Le ha fatte spegnere lui preventivamente quelle telecamere? Visto il pronunciamento del Riesame, no o comunque non vi è certezza che l’abbia fatto. Ma fosse stato attivo quell’impianto di videosorveglianza, cosa avrebbe ripreso? Le fasi dell’aggressione, probabilmente. E se non tutte almeno in parte. Avrebbe ripreso forse l’utilitaria nera che una testimone ha visto improvvisare una repentina e sospetta inversione proprio lungo la strada di località Montalto in cui si è consumato il delitto. Avrebbe ripreso anche l’uomo con il cappellino bianco, lo stesso intravisto da Alexander Dimitrov, l’operaio straniero che, a causa del rumore di un trattore, non udì Maria gridare aiuto, e che scoprì la Dacia Duster bianca della vittima col motore acceso, lo sportello aperto e la carrozzeria imbrattata di sangue.
Gli altri occhi
E gli altri impianti di video sorveglianza? Quali telecamere erano puntate su quella strada? Quelle indicate da Mancuso sono state rimosse prima della scomparsa di Maria? Possibile che nessun altro impianto, oltre quello della Tamoil di Laureana, sia riuscito ad intercettare la Golf grigia ripresa a fare su e giù per dieci volte sotto casa di Maria, per poi sparire una volta che la vittima uscì di casa?
Per concludere: o il delitto ha avuto una pianificazione pressoché perfetta o, se così non è stato, gli assassini hanno potuto beneficiare di una davvero straordinaria convergenza di favori del fato che hanno concorso alla consumazione di un femminicidio brutale e fin qui impunito.