I suoi resti sepolti alle pendici di Pietra Cappa, divenuto luogo di memoria. Si oppose alla 'ndrangheta e trent'anni fa fu rapito e ucciso. Vent'anni fa il ritrovamento dei resti
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«In questi venti anni abbiamo percorso i sentieri della Memoria e abbiamo camminato con fatica ma mai da soli. La comunità di chi non ha dimenticato è stata sempre in crescita e al nostro fianco. In questa giornata, in questo anno di ricorrenze, la nostra marcia è diversa. Abbiamo voluto incontrato i giovani per stringere con loro un patto generazionale. Noi camminiamo con loro per ricordare e per contribuire al cambiamento». Queste parole sono di Deborah Cartisano, figlia di Lollò, rapito il 22 luglio 1993 a Bovalino per avere denunciato i suoi estorsori.
Lei è stata ed è l'anima dei sentieri della Memoria che, dal giorno dei ritrovamento dei resti del corpo del papà in Aspromonte, avvenuta 20 anni fa nell'estate del 2003, ogni anno guida la marcia lungo quei sentieri in cui ricordano anche le altre vittime di questa terra.
Stamattina, piuttosto che marciare in Aspromonte, con don Luigi Ciotti ha incontrato i giovani al centro pastorale diocesano di Locri. Presenti tanti familiari di altre vittime.
Adolfo Cartisano, detto Lollò, diviso tra la passione per il calcio e quella della fotografia, era stato rapito a Bovalino nel reggino il 22 luglio di trent’anni fa. Nella città ionica, soffocata dal dominio di 'ndrine locali, ostaggio delle famiglie mafiose di Africo, Natile di Careri, Platì e San Luca, era finito nel mirino del racket al quale non si piegò, decidendo di denunciare.
Una scelta che cambiò per sempre la sua vita fino a spegnerla. I rapitori irruppero nella casa a mare. Portarono via anche la moglie, Mimma Brancatisano, poi lasciata lungo il ciglio della strada, sulla via per l’Aspromonte. Lui da quell'Aspromonte dove sovente si era recato per scrutarlo attraverso le inquadrature della sua macchina fotografica, non fece più ritorno.