L’anno che verrà e l’operazione di “pulizia” che continuerà nel 2019. Ecco tutti gli “scossoni” passati e quelli in previsione
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Si chiude un anno importante per il Vibonese sotto il profilo politico-giudiziario. Un anno in cui fatti ed avvenimenti hanno scosso non poco un territorio che stenta a voler fare i conti con se stesso e provare a risalire la china da classifiche che, non a caso, collocano il Vibonese in fondo alle classifiche per qualità della vita e non solo. Un anno in cui tanti “santuari” della politica e delle istituzioni sono caduti venendo direttamente toccati da indagini giudiziarie e provvedimenti antimafia. Scenari impensabili sino ad un anno prima (il 2017) solo da parte di chi – e sono tanti – non compie alcuno sforzo per leggere correttamente gli eventi presenti in vista di un futuro dietro l’angolo. Sul fronte strettamente giudiziario il 2018 verrà certamente ricordato nel Vibonese per le condanne (oltre due secoli di carcere) inflitte agli imputati del processo in abbreviato nato dall’operazione “Costa Pulita”.
Pene pesanti per 30 imputati e confische milionarie (fra terreni, auto, case, quote societarie, villaggi e imbarcazioni usate per il trasporto dei turisti alle isole Eolie) che interessano oltre ai ben noti Mancuso di Limbadi, i clan Accorinti di Briatico e Il Grande di Parghelia, riconosciuti per la prima volta come organizzazioni mafiose. La sentenza travolge anche la politica e finisce per confermare quanto già stabilito nel mese di maggio dalla Presidenza della Repubblica, dal Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Vibo Valentia: il Comune di Briatico è infiltrato pesantemente dalla ‘ndrangheta con un “uso distorto della cosa pubblica” ed un’azione politica ed amministrativa non improntata a principi di legalità e buon andamento.
Per la terza volta, gli organi elettivi del Comune di Briatico vengono sciolti per infiltrazioni mafiose, ma questa volta lo scioglimento ha dirette conseguenze anche sulla Provincia di Vibo Valentia perché decade il suo presidente (Andrea Niglia, sindaco di Briatico) e l’ente viene gestito dal vicepresidente sino alle nuove elezioni di fine ottobre che vedono la “conquista” dell’ente da parte delle sole forze di centrodestra (che convergono su Salvatore Solano, sindaco di Stefanaconi) al posto del c.d. “Accorduni” del 2014 che aveva visto in un unico calderone i renziani del Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. In sede penale nel processo “Costa Pulita” vengono condannati pure altri politici: l’ex sindaco di Briatico Francesco Prestia (2 anni) e l’ex consigliere comunale Sergio Bagnato (4 anni). Briatico, però, non è il solo Comune del Vibonese i cui organi elettivi vengono nel 2018 sciolti per infiltrazioni mafiose: tocca infatti anche a Limbadi ed a San Gregorio d’Ippona.
Anche in questi casi, le relazioni delle Commissioni di accesso agli atti parlano chiaro e mettono in luce (per chi vuole leggerle) la sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi di collegamento fra amministratori e ‘ndrangheta che portano ad uno svilimento ed alla perdita di credibilità dei due Comuni con un “avvilente e desolante contesto generale di rapporti tra l’ambiente politico ed il locale di ‘ndrangheta” dei Mancuso nel caso di Limbadi e dei Fiarè nel caso di San Gregorio d’Ippona. Ne fanno le spese il sindaco di Limbadi Pino Morello e il primo cittadino di San Gregorio d’Ippona, Michele Pannia.
Sul fronte strettamente giudiziario, il 2018 nel Vibonese registra per la prima volta condanne all’ergastolo per i vertici del clan Bonavota di Sant’Onofrio: carcere a vita per i fratelli Pasquale, Domenico e Nicola Bonavota. Al centro delle contestazioni gli omicidi del boss di Maierato, Raffaele Cracolici, e di Domenico Di Leo, azionista dello stesso clan Bonavota. Pasquale e Domenico si danno alla fuga e sono attualmente latitanti, Nicola viene portato in carcere. Supera il vaglio della credibilità, quindi, il vibonese Andrea Mantella, che dal maggio del 2016 ha deciso di collaborare con la giustizia confessando otto omicidi di cui allo stato ne sono venuti fuori solo tre. Mancano gli altri cinque e non è quindi difficile immaginare che il nuovo anno vedrà nuove ed importanti operazioni antimafia abbattersi sulla ‘ndrangheta vibonese e non solo. Probabilmente sarà l’anno della svolta nel Vibonese sul fronte della repressione antimafia. Oltre a Mantella, infatti, vi sono centinaia di pagine di verbali dell’altro collaboratore di giustizia del vibonese che aspettano di essere tirate fuori. Si tratta di Raffaele Moscato, al vertice del clan dei Piscopisani, le cui dichiarazioni sono state sinora utilizzate dagli inquirenti solo in minima parte per far luce sull’omicidio del boss di Stefanaconi, Fortunato Patania, su quello di Giuseppe Pugliese Carchedi (agosto 2006) e su un’estorsione ai danni di alcuni pescatori di Vibo Marina. Manca all’appello l’intera organizzazione mafiosa dei Piscopisani di cui Moscato ha indicato da tempo – l’avvio della collaborazione con la giustizia risale al 2015 – uomini, responsabilità e ruoli.
A fine giugno dell’anno in corso decide poi di “saltare il fosso” ed avviare una collaborazione con la giustizia anche Emanuele Mancuso, il rampollo dell’omonimo clan di Limbadi e Nicotera. Figlio del boss Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, Emanuele Mancuso si rivela una sorpresa per lo stesso procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, che si trova dinanzi ad uno esperto come pochi in piantagioni di marijuana. Emanuele Mancuso permette infatti il ritrovamento di vaste coltivazioni di canapa indiana impiantate in terreni demaniali fra Nicotera e Joppolo. In meno di un mese gli inquirenti stringono così il cerchio su una vasta rete di spacciatori che girava intorno a Emanuele Mancuso. E’ probabilmente solo l’inizio di dichiarazioni che rischiano di travolgere più di qualche “santuario” del crimine organizzato locale e non solo.
Sul fronte giustizia nel Vibonese, ma questa volta dal “Palazzo”, importanti novità arrivano per i vertici degli uffici giudiziari, “decapitati” dal Csm per “incompatibilità ambientali e funzionali”. Trasferita d’ufficio a Reggio Calabria, e proprio con tale motivazione, la presidente della sezione penale del Tribunale di Vibo Valentia, Lucia Monaco. Evita invece il trasferimento per gli stessi motivi (incompatibilità ambientale) il presidente del Tribunale di Vibo, Nicola Filardo. Il Csm chiude nei suoi confronti la procedura del trasferimento d’ufficio a seguito della domanda in prevenzione per altra sede (Catanzaro) presentata dallo stesso Filardo.
Cadono nel 2018 anche due presidenze consecutive ai vertici della locale Camera di Commercio: Michele Lico si dimette per via di un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che gli contesta un’intestazione fittizia di beni – al fine di eludere un’interdittiva antimafia - , mentre il subentrante Antonio Catania lascia nei giorni scorsi dopo che il 21 dicembre scorso il Tribunale collegiale di Vibo Valentia lo condanna per tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose. Resta al suo posto, invece, il presidente provinciale di Confindustria, Antonio Colacchio, interessato da un’indagine sul lavoro nero condotta da carabinieri e Guardia di finanza.
Dinanzi ad una situazione del genere – che richiederebbe assunzione di responsabilità e una guida politica autorevole dell’intero territorio provinciale che parta proprio dalla città capoluogo – la politica al Comune di Vibo Valentia offre invece il peggio di sé. Il 2018 verrà ricordato sotto tale fronte come l’anno della conferma dell’incapacità della politica locale di dare risposte ai bisogni dei cittadini e di un’intera comunità. Una Vibo Valentia alle prese per diversi mesi con un’emergenza rifiuti senza precedenti e con una generazione di quarantenni ancor più inconcludente di chi l’ha preceduta alla guida della politica cittadina. Lo spettacolo offerto dalla politica di Vibo-città – fra consiglieri del Pd che votano alla Provincia per il centrodestra, aspiranti leader che nel 2018 pensano ancora che la soluzione ai problemi possa chiamarsi Forza Italia (sotto l’8% a livello nazionale, già alla guida della Regione per oltre dieci anni e destinata a scomparire con il tramonto di Berlusconi che ha l’età che ha), e propaganda a buon mercato da parte di non pochi interessati – è sotto gli occhi di tutti. Politica superata e scavalcata persino dai comitati spontanei dei cittadini (quelli nati attorno alla Trasversale delle Serre e alla Strada del Mare chiusa da un anno fra Joppolo e Coccorino ne sono l’esempio lampante) e che il 2019 per forza di cose la vedrà ancora alle prese con sé stessa e con i conti che non tornano. Sino a quando? Il nuovo anno, probabilmente, darà le risposte che in tanti aspettano da tempo.
G.B.