L'imprenditore coraggioso che si rifiutò di pagare il pizzo venne assassinato, davanti alla sua abitazione di Castrolibero, la sera del 18 dicembre 1982
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Esattamente 40 anni fa venne assassinato un imprenditore emergente, Mario Dodaro, apprezzato e stimato anche per il suo impegno politico, sociale, ma prima di tutto per le sue qualità e per un forte senso dell’innovazione nel modo di fare impresa.
Siamo a Castrolibero, alle porte di Cosenza, è la sera del 18 dicembre del 1982. I killer attendevano Dodaro davanti casa. Scrive Gianfranco Bonofiglio, nel suo ‘Romanzo Criminale della città bruzia’: «Nel 1982 gli omicidi furono undici, segnati, fra l’altro, da un fatto criminale inquietante che dimostrò chiaramente il livello di pericolosità al quale si era giunti. In quell’anno venne ucciso l’imprenditore Mario Dodaro, onesto e laborioso lavoratore che gestiva una catena di macellerie ed era impegnato con i fratelli nell’attività dei salumi e delle carni. Omicidio mai chiarito e, probabilmente, legato al rifiuto dell’imprenditore di piegarsi alla ferrea legge delle estorsioni che coinvolgevano, in quegli anni, la totalità degli imprenditori cosentini costretti a pagare anche se alcuni pentiti hanno parlato di un tentativo di rapina…».
Dodaro all’epoca era un imprenditore emergente. Nel 1968 aveva fondato a Castrolibero il “Salumificio Dodaro” e quindi una serie di punti vendita di carne nel cosentino. L’attività imprenditoriale cresce e si sviluppa con successo in tutta la provincia di Cosenza.
Oltre che ottimo imprenditore, Mario Dodaro era anche uno dei maggiori azionisti del Cosenza Calcio, oltre che consigliere comunale e segretario della sezione della Dc di Castrolibero.
Un uomo molto in vista che la malavita aveva subito puntato. Arrivano le richieste di soldi, tanti soldi. È il pizzo, bellezza. Ma Dodaro, rifiuta ogni forma di compromesso. Il suo rifiuto gli è costata la vita. Sembrava un caso facile da risolvere, ma incredibilmente si è arrivati da parte della Procura di Cosenza all’archiviazione del processo.
Quel 18 dicembre 1982 Dodaro rientrava a casa, in un condominio di Castrolibero. Si accorge dell’agguato e grida aiuto. Partono subito tre colpi di pistola e qualcuno vede un uomo allontanarsi di corsa. Mario Dodaro muore prima di giungere al pronto soccorso dell’Ospedale di Cosenza.
Stranamente gli inquirenti fanno sapere che «l’intenzione di chi ha ucciso l’industriale era solo quella di un avvertimento, sparandogli alle gambe. E che un solo colpo fu quello fatale». Ma prende quota l’ipotesi dell’estorsione.
Vengono fermati due giovani del clan Perna-Pranno, Raffaele Mazzuca e Antonio Musacco, «gravemente indiziati» per l’uccisione di Dodaro, dice la questura. Vengono identificati altri tre, ma l’impianto accusatorio non regge. Alla fine sia in primo che in secondo grado vengono tutti assolti dall’accusa di omicidio volontario ma condannati per tentata estorsione.
Nel frattempo, arrivano i pentiti. Si raccontano altre verità, si fanno più ipotesi, ma tutto finisce nell’ archiviazione. Niente da fare per la squadra mobile della questura di Cosenza diretta da Nicola Calipari. Fallisce tutto. Nessuna giustizia dopo 40 per questo coraggioso e determinato imprenditore calabrese.
Matteo Cosenza è stato per tanti anni il direttore de Il Quotidiano della Calabria: «Ho avuto una grande fortuna. I miei editori, Antonella e Francesco Dodaro, sono persone per bene e non hanno mai interferito nel mio lavoro. […] La foto del loro papà – il sorriso di un uomo buono e onesto – mi è diventata familiare, e ho sempre pensato che nella loro attività ci sia stato e ci sia il valore aggiunto di una tragedia, l’assassinio del loro genitore, e della giustizia negata. […] Chi lo ammazzò l’ha fatta franca e solo pochi giorni fa la figlia Antonella ha potuto scrivere che andava a dormire serena perché finalmente almeno una verità era stata riconosciuta: il papà è stato "una vittima della malavita organizzata". Antonella e Francesco hanno trasformato il bisogno di giustizia in un impegno civile e imprenditoriale. E per la mia parte, ma mi sento di parlare anche per il primo direttore Pantaleone Sergi, per il mio predecessore Ennio Simeone e per il mio successore Rocco Valenti, so che questo giornale è libero e pulito».
Giustizia non è stata fatta, ma che non muoia il ricordo di un calabrese onesto, di un imprenditore di successo, di un uomo fortemente impegnato. Anzi diventi un modello e un simbolo della migliore Calabria.