Commercialisti, amministratori giudiziari, consulenti ambientali. È lungo il novero dei professionisti colpiti da misura cautelare nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria Mala pigna. Tutti sono accusati, a vario titolo, di avere favorito la cosca Piromalli di Gioia Tauro.

L’inchiesta della procura reggina gira intorno alla figura di Rocco Delfino, il 58enne che insieme a Domenico Gangemi avrebbero gestito gli affari del potente clan di Gioia Tauro dopo l’arresto dei vertici della famiglia mafiosa della città del porto. Sono diversi i casi di professionisti coinvolti nell’inchiesta, così come sono molti i casi finiti sotto la lente di ingrandimento degli investigatori.

Nell’ordinanza di custodia cautelare rientra la trattazione della gestione della ditta Delfino s.r.l. di Giovanni Delfino, fratello di Rocco. Una vicenda usata come paradigma dalla procura per fare emergere la presunta partecipazione di molti professionisti, entrati in scena in diversi momenti della vicenda, per favorire le ditte dei due esponenti del clan Piromalli.

La ditta confiscata gestita dal clan

La ditta Delfino srl, sebbene sottoposta a confisca definitiva e sotto amministrazione giudiziaria, sarebbe stata utilizzata dai fratelli Delfino come se fosse nella loro disponibilità. Ciò sarebbe stato possibile, secondo gli inquirenti, grazie «contributo consapevole ed incondizionato dei coadiutori giudiziari nominati dall'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati».

«I due professionisti, ossia l'avvocato Alessio Gangemi ed il commercialista Giuseppe Antonio Nucara (finiti ai domiciliari ndr)– si legge negli atti di indagine - si sono messi a disposizione totale dei fratelli Delfino al fine di consentire loro di continuare ad amministrare la società confiscata, che in perfetto stile mafioso era "un loro possedimento", in sfregio alle disposizioni di legge e d elle istituzioni che loro rappresentavano».

I 700mila euro dello Stato dati al clan

Gli stessi si sarebbero resi disponibili addirittura a effettuare prelievi in contanti dai conti correnti della Delfino s.r.l. per importi ragguardevoli, 700mila euro nel periodo che va dal gennaio 2018 al maggio 2019, come risulterebbe dagli accertamenti bancari. «svuotando le casse societarie e consentendo soprattutto ai fratelli Delfino – sottolineano i magistrati - di reimpiegare somme di denaro derivanti da attività illecita di traffico di rifiuti».

Secondo la procura, la condotta dei due amministratori giudiziari configurerebbe «il delitto di peculato aggravato dall'agevolazione mafiosa, in quanto trattasi di conti correnti di proprietà dello Stato italiano in quanto afferenti a una società confiscata ed in gestione dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati».

Gli investigatori annotano innumerevoli ingressi in ditta dell'ex sorvegliato speciale Giovanni Delfino, come documentato dalle telecamere poste dinanzi alla Delfino e dalle conversazioni intercettate da cui sarebbe emerso che lo stesso continuava a gestire la società secondo le proprie volontà e necessità, insieme al fratello Rocco Delfino.

La commercialista e la falsa documentazione

La società, ricordiamo, gli era stata sottratta dal tribunale sezione misure di prevenzione. Inoltre i rapporti commerciali della Delfino srl erano quasi esclusivamente con società riconducibili a Rocco Delfino, che trasportavano illecitamente rottami ferrosi destinati ad acciaierie in tutto il territorio nazionale o allo smaltimento per conto della società confiscata facendo peraltro transitare sui conti correnti somme derivanti dalle presunte attività illecite effettuate.

A seguito di una richiesta di chiarimenti da parte dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati sull'attività svolta dai coadiutori quale relazioni periodiche o documentazione inerenti rapporti con ditte terze, «gli stessi professionisti si sono attivati – si legge nell’ordinanza - a favore di Rocco Delfino, diretti dalla commercialista Deborah Cannizzaro (domiciliari) per falsificare la documentazione da trasmettere all'agenzia nazionale, ed in seguito, essendo stati richiesti ulteriori chiarimenti, sono stati costretti a depositare parte della documentazione (ovviamente sempre previo accordo con i fratelli Delfino) da cui risultavano gli illeciti prelievi dai conti dell’azienda confiscata».