Era alla guida della Lancia Thema che il 9 novembre ha fatto capolino nell'ultimo lotto di via Popilia, a Cosenza, preludio sinistro al crepitio dei kalashnikov. Quel giorno, però, Saverio Madio ignorava di fare da autista a un commando determinato a uccidere. E' sulla scorta di questo convincimento che l'uomo ha ottenuto il riconoscimento della partecipazione minima al duplice omicidio di Aldo Benito Chiodo e Francesco Tucci, il che equivale per lui a una condanna più che mite: solo dieci anni di carcere.

Non era facile dimostrarlo, lo certifica l'andamento travagliato del processo prima che le tesi dei difensori Filippo Cinnante e Aldo Truncé trovassero accoglimento. Dopo i ventotto anni e sei mesi incassati in primo grado, infatti, il riconoscimento della partecipazione minima per Madio era scattato in Appello, fissando la sua pena a dodici anni e otto mesi. Nel capitolo finale del processo, un ulteriore ricorso difensivo aveva poi indotto i giudici di Cassazione a disporre un'ulteriore rideterminazione al ribasso, cosa che è avvenuta nelle scorse ore. Tale circostanza, aveva comportato lo stralcio della sua posizione da quella degli altri imputati per i quali a novembre del 2023 è stata pronunciata una sentenza definitiva che parla di ergastoli (Antonio e Fiore Abbruzzese) e trent'anni di reclusione a testa per Celestino Bevilacqua e Luigi Berlingieri. Ora, con la definizione della posizione di Madio, il processo è consegnato agli archivi.

Il duplice delitto Chiodo-Tucci rappresenta un momento di svolta nella storia criminale della città perché pone fine all'alleanza, in vigore all'epoca, tra il clan degli zingari e quello degli italiani. In quei giorni, i due gruppi si spartiscono il mercato della droga, ma le ripetute violazioni dell'accordo, operate dalla cosca nomade, creano attriti e ostilità che esplodono il 9 novembre del 2000. Quella sera, bersaglio designato dei killer della cosca nomade è Chiodo, contabile del clan italiano. Tucci si trova lì per caso, è l'uomo sbagliato nel posto sbagliato, tant'è che viene falciato insieme a lui dalle raffiche di mitra. Un terzo uomo, ferito a una mano, riesce a fuggire e a mettere in salvo la vita.

Alla verità giudiziaria si è arrivati grazie alle confessioni di Franco Bevilacqua alias "Franco i Mafarda", uno dei partecipanti alla spedizione assassina pentitosi nel 2001. Le sue dichiarazioni sono rimaste a lungo isolate, ma ad esse dal 2016 in poi, si sono aggiunte quelle di Franco Bruzzese che hanno consentito agli inquirenti di chiudere il cerchio.