Per la prima volta dopo 43 anni, Angelica Zoppolat ha sentito la voce di suo padre. Lui si chiama Domenico, vive a Locri (Rc) e di quella figlia, data in adozione appena nata, non aveva più saputo nulla fino a tre giorni fa, quando il suo telefono è squillato e dall’altra parte ha sentito lei chiamarlo «papà».

La storia di Angelica è una storia di valigie e addii, di angoli scuri, inquietudine e di un volto seppellito da una memoria troppo tenera per imprimerci sopra un’immagine nitida.

Torino, 1977. Carmela, ha lasciato Siderno giovanissima e vive in un bugigattolo di appena trenta metri quadrati, una soffitta con le pareti chiazzate di umido e una porta malandata, quando incontra Domenico, calabrese di Polistena, emigrato al nord in cerca di fortuna, e se ne innamora.

Da quell’unione nascono tre bambini: Filomena, Giuseppe e Angelica. Ma quella casa non è un ambiente adatto per i piccoli, così gli assistenti sociali convincono Carmela e Domenico che la cosa migliore che possono fare per il bene dei loro figli, è destinarli alle cure di un istituto che cercherà per loro dei nuovi genitori e un destino più felice.

Storia del nuovo cognome

La coppia è giovane, tira a campare come può, ma tre bimbi sono faticosi da crescere senza mezzi e senza aiuti, così si convincono che separarsi da loro, forse, è davvero la cosa migliore. Una mattina gli dicono addio e li lasciano andare. Angelica varca la soglia dell’Istituto provinciale dell’Infanzia di via Lanzo in fasce e, sei mesi dopo, ne esce in culla, con un nuovo cognome, dei nuovi genitori e una nuova vita da vivere.

Gli anni passano e in seconda elementare viene a sapere che da qualche parte, chissà dove, vivono una madre e un padre diversi da quelli che l’hanno cresciuta. Ma il mondo è grande e, a nuotarci dentro senza bussola, si rischia di perdere anche la speranza.

Lei cresce, diventa grande, vive la sua vita, studia al Conservatorio, diventa un soprano, si forma come assistente all’infanzia, ricompone strappi, convive con l’abbandono, pedala in salita sempre con un buco nel cuore e l’immagine di quei visi sfocati che non riesce a recuperare dal fondo limaccioso della memoria.

Ha solo il suo volto che porta le tracce di un’eredità nascosta.

L'appello su Facebook

Qualche giorno fa qualcosa è cambiato, il vetro appannato su cui si rifletteva un’immagine antica, ha iniziato a rischiararsi. Angelica chiede aiuto scrivendo un appello sulla pagina facebook “Ti Cerco. Appelli di persone che cercano le loro origini e i propri cari”, che raccoglie ogni giorno decine e decine di appelli. Il suo post non va a vuoto. Qualcuno risponde. «Da lì si è aperto tutto, tutto» dice Angelica.

Riceve un indirizzo, quello di Carmela Mirarchi, sua madre. Angelica si incammina di buon mattino verso via del Campo, a Torino, e arriva davanti a un portone. Dei ragazzi in quel momento stanno uscendo di casa. Lei chiede informazioni, abbassa la mascherina. La somiglianza con sua madre è così evidente che uno di quei ragazzi le dice: «Sei tu! Carmela parlava tanto di te». Ma Carmela non c’è più, il 26 maggio del 2015 è morta nella sua piccola casa, da sola.

«Io voglio sapere tutto di mia madre – racconta Angelica – voglio vedere com’era. Io non ce l’ho con i miei genitori, ognuno ha le sue colpe, ma ora non importa più niente, il passato è passato. Sulla tomba di mia madre ho pianto. Lei è morta da sola, malata, non aveva neanche una stufa in casa, ma non mi ha mai dimenticata e questo pensiero mi scalda dentro».

Tutto su mia madre

Angelica il giorno stesso porta un fiore al cimitero dove Carmela è una lapide senza foto, per lei è ancora una madre senza volto. Ma suo padre, invece, è ancora vivo e vive in Calabria. Sempre grazie Facebook, Angelica riesce a mettersi in contatto con i cugini e poi con il fratello di suo padre che le racconta tutto.

Lei appunta un numero di telefono, chiama Domenico, che ora ha 73 anni. Lui risponde e, dopo una prima incertezza, forse dettata dalla paura, i due si riconoscono, si raccontano. «All’inizio mi ha detto: chi sei? Cosa vuoi?, io gli ho risposto: niente, papà, volevo solo parlarti. Allora si è ammorbidito e mi ha detto: perché ci hai messo tanto? Da allora ci scriviamo, mi dà la buonanotte e il buongiorno».

Il filo che unisce Torino alla Calabria

Un filo sottile si tende tra Torino e la Calabria, tra due vite legate dal primo momento e poi separate.

«Non so mai stata in Calabria, sarebbe uno shock per me, ma forse il destino mi sta spingendo a tornare. Ho sempre pregato, ogni giorno, chiedendo un’apertura, un risolversi delle cose nel presente e adesso tanti nodi si stanno sciogliendo. Vorrei mandare un messaggio alla famiglia di mia madre Carmela che vive a Siderno, e che al momento rifiuta ogni contatto: qualsiasi cosa una figlia abbia fatto di male non deve essere mai abbandonata. Desidero solo recuperare i pezzi del suo passato, non mi interessa chi era, io so che era mamma, ma una mamma sola, senza genitori, che ha vissuto in povertà e che con le sue risorse ha fatto quello che poteva. Tutti hanno colpe, tutti siamo tutti vittime».

La frattura di una vita, in parte, si è ricomposta. Angelica pochi giorni fa è venuta a sapere che ha non due ma quattro fratelli (due sono i figli avuti dalla madre con un nuovo compagno) che non sanno ancora nulla della loro sorella. Lei rinnova l’appello, vuole colmare quella mancanza, recuperare il tempo perduto. Soprattutto, vedere il viso di sua madre.