Gotha, il pentito: «Scopelliti in mano a cosche di Archi, il tritolo fu messo da 'ndrine e servizi»

La deposizione di Consolato Villani tocca anche Alberto Sarra e Antonio Caridi: «Erano vicini ai De Stefano». E spiega come i Lo Giudice avessero le soffiate. Le riunioni in profumeria con Aiello "faccia di mostro"

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di Consolato Minniti
21 giugno 2019
20:02
Giuseppe Scopelliti
Giuseppe Scopelliti

«Nino Lo Giudice mi disse che il tritolo piazzato a Palazzo San Giorgio era opera della cosca De Stefano e dei servizi segreti. Fu messo per destabilizzare la situazione riguardante Scopelliti». A riferirlo è il pentito Consolato Villani nel corso dell’udienza del processo Gotha tenutasi nella giornata odierna nell’aula bunker di Viale Calabria, con riferimento all’esplosivo trovato nella casa comunale all’epoca della prima sindacatura Scopelliti. Dopo quell’episodio le quotazioni del sindaco, che finì sotto scorta, aumentarono notevolmente.

«Scopelliti nelle mani delle cosche di Archi»

«Quando Scopelliti si è candidato a sindaco – ha spiegato Villani – il benestare è partito da Archi e dai De Stefano in particolare. Lui era nelle mani delle famiglie di Archi e, di riflesso, nelle nostre. Non poteva dire di no se gli si chiedeva qualcosa». Secondo il collaboratore l’ex sindaco avrebbe aiutato le cosche di ‘ndrangheta attraverso diverse imprese che poi davano lavori in subappalto.


Caridi, Sarra ed i De Stefano

Ma Villani ne ha anche per altri esponenti politici come Alberto Sarra e Antonio Caridi, i quali, a detta del collaboratore sarebbero stati vicini alla cosca De Stefano: «Sarra occupava un posto di primo piano e Nino Lo Giudice lo conosceva benissimo. Lui, però, non era come Peppe Scopelliti perché era, come dire, “tifoso” solo dei De Stefano e dei Tegano. Lui poteva benissimo rispondere di “no” se veniva chiesta qualche cosa». Quanto ad Antonio Caridi, Lo Giudice ha affermato che «fece fare diverse assunzioni alla Leonia, la quale era sottoposta ad estorsione dai Fontana. I danneggiamenti ai mezzi non erano un messaggio per la Leonia, ma per Giovanni Fontana che gestiva quei rapporti, in quanto si era allargato troppo».

I rapporti di Romeo e De Stefano

Villani, autore materiale del duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo, ha rimarcato la vicinanza degli imputati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo con i servizi e la massoneria_ «I due – ha riferito il collaboratore – si conoscono da una vita ed hanno militato nella destra eversiva. La ‘ndrangheta, a livello di multinazionale del crimine, veniva rappresentata proprio da De Stefano e Romeo. Gestivano forze inimmaginabili, si parlava addirittura di Cassazione, di processi».


Parole pesanti sono state riferite sull’ex sindaco e governatore Giuseppe Scopelliti: «Quando si è candidato a sindaco, il benestare è partito da Archi e dai De Stefano in particolare. Lui era nelle mani delle famiglie di Archi e, di riflesso, delle nostre. Non poteva dire di no se gli si chiedeva qualcosa».

Le confidenze di Gattuso e i rapporti di Luciano

Sempre nel racconto del pentito, in merito ad un summit tenutosi nel santuario di Sant’Antonio a Reggio Calabria, vi fu una soffiata alla polizia che poté riprendere tutto, grazie all’informazione che sarebbe giunta da Francesco Gattuso, esponente di primo piano della ‘ndrangheta.
C’è spazio però anche per Luciano Lo Giudice, il quale, secondo Villani, aveva collegamenti con una parte della Polizia di Stato reggina.

Le riunioni con “faccia di mostro”

Villani ha anche ricordato le riunioni nella profumeria di Antonio Cortese, alle quali prese parte Giovanni Aiello “faccia di mostro”, che lui ricorda solo per il suo volto sfigurato. Questi sarebbe andato lì assieme ad una donna. «Erano soggetti strani – ha spiegato Villani – cercavano di non rendersi visibili in strada. Mi suonava strano perché Nino Lo Giudice mi diceva solo quello che gli conveniva. Infatti ho scoperto dopo che i due soggetti non erano appartenenti alla ‘ndrangheta».

Giornalista
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