Oggi inizierà il processo a carico di due dottori che operarono l'anziano reggino a Milano. Fortunato Calabrò racconta i drammatici momenti vissuti e la lotta quotidiana del padre contro il tumore
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«Dal processo ci aspettiamo che vengano sanzionate le responsabilità dei due medici, ma in questa vicenda anche altri hanno sbagliato: tutta l'equipe». A parlare così alla nostra testata è Fortunato Calabrò, figlio di Giuseppe l’ottantasettenne di Reggio Calabria a cui per errore è stato asportato, all'ospedale Fatebenefratelli di Milano, un rene sano e perfettamente funzionate, quello sinistro, al posto di quello di destro in cui vi era un tumore.
Oggi si è aperto il processo a carico dei due medici che il 5 dicembre del 2017 operarono l’anziano, assistito dall’avvocato Fortunato Renato Russo (in foto), processo che però è stato rinviato al nove dicembre per consentire, come annunciato dalle difese, la presentazione di una nuova offerta risarcitoria dato che la prima non era stata ritenuta congrua.
Enrico Luca Giulio Maria Dal Re, all’epoca dei fatti responsabile del reparto di chirurgia generale e primo operatore, e G.C., secondo operatore, stando alle indagini compiute dal pm Tiziana Siciliano, sono da ritenere responsabili del reato di lesioni personali colpose in corso e «con negligenza, imprudenza, imperizia, durante l’esecuzione dell’intervento di nefrectomia destra, sul paziente Giuseppe Calabrò affetto da neoplasia, asportavano il rene sinistro esente da malattia anziché quello compromesso dalla patologia neoplastica».
Una vicenda che ha dell’incredibile, al limite dell’assurdo, ma che purtroppo è tragicamente vera. «Noi vogliamo una condanna giusta, ci dice il figlio Fortunato,che va al di là degli aspetti della responsabilità penale. Noi familiari infatti, ci auguriamo che questo medici non vengano più messi nelle condizioni di compiere certi errori in futuro. In medicina ci vuole sempre una grande umiltà. Sbagliare fa parte dell’uomo, ma bisogna anche vedere come e perché si sbaglia. In questo caso - prosegue il figlio - l’errore è evidente, mio padre è uscito dalla sala operatoria con il rene sano asportato, ma la circostanza più assurda è che nessuno si è preoccupato prima dell’operazione di controllare la cartella clinica, altrimenti avrebbero letto quale organo doveva essere asportato, e nessuno ha provveduto a tracciare con un semplice pennarello un segno sul rene a operare, come prevedono i protocolli. Per questo a mio avviso sostengo, continua, che le responsabilità sono di tutta le equipe poiché nessuno disse ai chirurghi che il rene con il tumore era quello destro. La nostra speranza - ha concluso - che questa vicenda sia di monito per tutti e che si faccia sempre attenzione mai dando nulla per scontato».
«Quel medico era come un figlio per lui»
C’è tanta amarezza nelle sue parole anche perché il chirurgo a cui si erano affidati era non solo un amico di famiglia, ma era stimato a tal punto che quando l’anziano ha saputo che doveva sottoporsi a questo intervento decise, senza battere ciglio, che doveva essere proprio il dottore Dal Re ad eseguirlo. «Per mio padre era un figlio - continua il signor Calabrò - e per lui era come se fosse suo padre. Ancora oggi non ci capacitiamo come abbia potuto sbagliare; era il suo medico da oltre 20 anni».
Il primo ad accorgersi dell’errore quel giorno è stato proprio il paziente che disperato avvisò il figlio, medico anche lui. «Quando me lo disse io non ci ho creduto, pensavo fosse ancora sotto l’effetto dell’anestesia. Arrivai subito in ospedale e vidi che aveva i tubi del drenaggio dal lato sbagliato quindi mi resi conto che era stato asportato il rene sano. Per tre ore non riuscì a parlare con nessuno, in reparto tutti sembravano essersi dileguati. Poi venne in stanza il dottor Dal Re che piangendo - non dimenticherò mai questa scena terribile- ci diceva che aveva sbagliato e chiedeva scusa. Mio padre anche piangeva. Lo guardava disperato, ma nel contempo lo guardava in modo compassionevole. Come se un padre che guarda suo figlio, un figlio che aveva sbagliato».
«Il risarcimento che sia un segnale giusto»
Oggi, ironia del destino vuole, che a tenere in vita l’anziano è lo stesso rene con il tumore. Ed è per questo che l’uomo deve continuamente sottoporsi a controlli e a visite. La sua vita doveva migliorare e invece, ha subito un notevole aggravamento sia fisico che psicologico. «Mio padre era autosufficiente adesso invece - afferma Fortunato Calabrò - dipende totalmente da noi che a turno dobbiamo venire da Milano a Reggio per assisterlo. Per questo ci auguriamo che abbia un adeguato risarcimento non solo per il danno fisico, ma anche per quello morale che ha subito e questi danni li abbiamo subiti anche noi figli. Certo un risarcimento non ridarà il rene a mio padre né cambierà la vita a nessuno di noi, ma è un segnale verso chi ha agito con negligenza e superficialità». La famiglia ha chiesto che il risarcimento venga quantificato in un milione e mezzo di euro. La proposta dell’assicurazione dell’ospedale non è stata accettata «perché è stata offensiva della dignità umana. Ci hanno offerto, all’esito di una visita giudicata da noi alquanto superficiale - 150 mila euro. È inaccettabile».
«Mio padre aveva il diritto di vivere bene e più a lungo»
Il signor Giuseppe Calabrò ancora oggi non riesce a darsi una spiegazione di come si potuto accadere tutto questo. «Mio padre è un leone, lotta ogni giorno contro il tumore - continua il figlio - ma purtroppo noi viviamo con una terribile consapevolezza, ossia che un giorno dovrà necessariamente entrare in dialisi e lui ci ha già detto che si lascerà morire. Se lo avessero operato bene e in maniera corretta tutto ciò non si sarebbe verificato e lui oggi vivrebbe, quanto gli è rimasto, in modo sano e dignitoso».