Provvedimenti contestati del governo dopo il naufragio sulle coste calabresi. La Corte Ue deciderà sui 5mila euro chiesti ai profughi per evitare di essere trattenuti. Scontro Ong-Piantedosi sulla collaborazione con la Guardia costiera del Paese africano
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Un anno fa sulla spiaggia di Steccato di Cutro avvenne la strage dei migranti, un evento tragico che ha segnato la storia della nostra regione. Da quel giorno la politica nazionale si è affrettata a mettere un freno al fenomeno migratorio, commettendo però degli errori. Il cosiddetto “Decreto Cutro” di recente è stato sostanzialmente bocciato dalla Corte di Cassazione che ha trasmesso gli atti alla Corte di Giustizia Europea affinché valuti se esistano misure alternative al trattenimento nei Cpr.
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Le Sezioni Unite civili, nell’ordinanza interlocutoria emessa alcune settimane fa, avevano sospeso i 10 procedimenti di trattenimenti di migranti, in base al decreto Cutro. Gli ermellini erano stati chiamati ad esaminare i ricorsi dell'Avvocatura dello Stato per conto del ministero dell'Interno contro le ordinanze con cui il Tribunale di Catania non convalidò, lo scorso autunno, i trattenimenti di alcuni migranti tunisini nel Centro di Pozzallo, disposti dal questore di Ragusa in applicazione del decreto Cutro.
Nel provvedimento, che rimanda la decisione alla Corte Ue, la Corte di Cassazione ha inteso chiedere se la direttiva «2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale», osti «a una normativa di diritto interno che contempli quale misura alternativa al trattenimento del richiedente (il quale non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente), la prestazione di una garanzia finanziaria il cui ammontare è stabilito in misura fissa anziché in misura variabile, senza consentire alcun adattamento dell'importo alla situazione individuale del richiedente, né la possibilità di costituire la garanzia stessa mediante l'intervento di terzi, sia pure nell'ambito di forme di solidarietà familiare, così imponendo modalità suscettibili di ostacolare la fruizione della misura alternativa da parte di chi non disponga di risorse adeguate, nonché precludendo la adozione di una decisione motivata che esamini e valuti caso per caso la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura in relazione alla situazione del richiedente medesimo».
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Nel “Decreto Cutro”, infatti, si fa riferimento alla somma fissa di 4.938 euro da versare attraverso una fideiussione bancaria o una polizza fideiussoria assicurativa. La norma inoltre non prevede allo stato attuale che soggetti terzi possano versare la somma per conto del soggetto interessato. Il versamento della somma costituirebbe dunque l'alternativa al trattenimento.
La posizione delle correnti della magistratura
L’ordinanza interlocutoria della Cassazione aveva fatto scattare polemiche tra le parti interessate. E una delle correnti della magistratura, AreaDg, aveva preso le difese del giudice Apostolico, firmataria del provvedimento di non convalida del “Decreto Cutro”, poi finita nel mirino per un video in cui veniva ripresa durante una manifestazione pro migranti svoltasi anni prima a Catania, dove presta servizio.
«Mentre il giudice di merito può disapplicare la norma italiana per contrasto con il diritto Ue, la Corte di Cassazione, se ha un dubbio sulla conformità fra norma italiana e norma europea, ha l'obbligo di proporre il rinvio pregiudiziale» aveva dichiarato Giovanni Zaccaro, segretario di Area Democratica per la Giustizia. «Le sezioni unite non hanno smentito i giudici catanesi ma hanno confermato le criticità esistenti nel cosiddetto decreto Cutro e la possibile contrarietà alla normativa europea».
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Ancora la Cassazione: il caso Libia
Qualche giorno fa sempre la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo sui migranti. I giudici di legittimità ritengono che la Libia non sia “un porto sicuro” e lo hanno scritto nella sentenza con la quale hanno condannato in via definitiva il comandante del rimorchiatore Asso 28 che, nel luglio del 2018, prese a bordo 101 migranti arrivati su un gommone, li riportò indietro, consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli. La sentenza della Suprema Corte ha messo in discussione l’intera politica italiana sul fenomeno dell'immigrazione, nella parte in cui sussistono accordi che prevedono aiuti, sostegno e formazione alla Guardia costiera libica per frenare i flussi migratori e aprire la strada a una serie di ricorsi che mettono ora in discussione la validità degli accordi Italia-Libia.
Anche su questo argomento di carattere giurisprudenziale ci sono stati interventi polemici. «La Corte di Cassazione afferma il principio dell'illegalità dell'obbedienza agli ordini della Guardia costiera libica – ha dichiarato Valeria Taurino, direttrice generale di Sos Mediterranee Italia -. Tutti sanno che di recente siamo stati fermati per una 'presunta' disobbedienza agli ordini della cosiddetta Guardia costiera libica. Adesso con la sentenza della Cassazione è chiaro che le ong hanno sempre operato nel pieno rispetto della legge, mentre la legalità di altre disposizioni e di altre interpretazioni è quantomeno dubbia».
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Di parere opposto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: «L'Italia non ha mai coordinato e mai consegnato in Libia migranti raccolti in operazioni di soccorso coordinate o direttamente effettuate dall'Italia. La sentenza della Cassazione va letta bene, non con una lettura di tipo politico o ideologico». «La sentenza - ha spiegato Piantedosi - va collocata temporalmente in un momento preciso in cui la Libia aveva determinate condizioni e le collaborazioni con l'Ue erano finalizzate a portare la Libia a superare le situazione di quel momento. Tra gli elementi importanti di lettura della sentenza vi sono dei principi a cui il governo si è sempre attenuto nel regolamentare l'attività di rimpatrio». Anche perché, ha sottolineato ancora Piantedosi, capo del Viminale, «chiunque interviene deve coordinarsi con le autorità competenti in materia, non può esserci spontaneismo. L'importante è che ci sia coordinamento».