Nel Vibonese non viene diffuso alcun bollettino ufficiale e sui social gli attacchi gratuiti al mondo dell’informazione non si contano più, nonostante mai come in questo frangente il nostro lavoro sia stato così difficile e delicato
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Al Sud l’emergenza sanitaria galoppa. Qui è arrivata più tardi ed è stata contenuta con risultati più o meno brillanti anche in Calabria, mentre al Nord gli esperti registrano oggi dati giudicati positivi, un primo tenue spiraglio di luce nel buio di morte dell’ultimo mese. Come prevedibile, seguendo la curva epidemiologica, in provincia di Vibo Valentia il trend dei contagiati da coronavirus è in crescita, sfiorando quota quaranta. In questo caso il Vibonese resta “felicemente” fanalino di coda della regione, ultimo per numero di positivi al Covid-19.
Ma in questa provincia, a differenza delle altre, c’è un ritardo che può apparire secondario ed invece non lo è. Non lo è nella misura in cui la comunicazione e la trasparenza verso i cittadini vengono considerati valori fondamentali tanto quanto le corrette pratiche da adottare per annullare i contagi. Perché se c’è un aspetto su cui l’Azienda sanitaria provinciale - in questo particolare frangente storico - si sta mostrando lacunosa, è proprio quello della comunicazione. Nelle altre Aziende sanitarie o ospedaliere della Calabria, infatti, si procede quotidianamente, anche più volte al giorno se necessario, a diffondere bollettini medici che certificano, da fonte ufficiale e qualificata, l’andamento del contagio, i tamponi effettuati, gli eventuali decessi, le situazioni di rischio. A Vibo niente. Qui gli organi di informazione sono costretti ad inseguire questa o quella fonte, fare mille telefonate, mandare Whatsapp a destra e a manca, cercare riscontri a quanto circola nell’inaffidabilissimo mare magnum del web, in cui ci sono anche i post dei sindaci, prime autorità sanitarie locali di un territorio sventurato, pure loro divenuti “comunicatori” non per scelta.
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La conseguenza, il rischio, è di fornire un’informazione non dettagliata per come si vorrebbe e per come si potrebbe. Soprattutto, per come si dovrebbe. I giornali, tutti i giornali, in questi tempi e con questa materia, fanno dell’eccesso di zelo un comandamento: appurano, verificano, contro-verificano, pubblicano. Checché ne dicano (e scrivano, nei commenti social) le orde di sapienti cultori del nulla, magicamente divenuti abili segugi dell’informazione d’inchiesta per avere saputo - da un audio Whatsapp - che la cugina del nipote di un vecchio amico di scuola che lavora in ospedale come inserviente ha riferito che tizio è di quel paese e caio era morto, però è resuscitato, e che i giornalisti sono degli sciacalli, non servono a niente, creano allarmismo, sono incapaci. Questo tralasciando gli insulti.
Ignorano, gli illustri commentatori di cui sopra, che alla fine, se qualcosa di tutta questa storia la conoscono, qualcosa di vero, è proprio per quegli “incapaci” che lavorano la mattina, la sera, la notte, la domenica, il Natale e il Ferragosto, per raccontare cosa accade, perché accade, dove, per mano di chi. Perché di informazione si tratta, quella che dovrebbe rendere tutti più consapevoli e meno imbecilli.
Ecco il motivo per cui, oggi più di ieri, è assolutamente necessario che l’unica istituzione preposta in questa provincia, che è l’Azienda sanitaria, prenda in mano la “questione comunicazione”, e spieghi ogni giorno, più volte al giorno, l’andamento del contagio: la geografia dei positivi, lo stato di salute, gli eventuali contatti con altri positivi, i tamponi effettuati, le guarigioni, i decessi. Spieghi, di pari passo, il lavoro che si sta svolgendo sul fronte sanitario: l’organizzazione dei reparti, le dotazioni strumentali, il fabbisogno di personale, i posti letto, i dispositivi di protezione. Solo così si possono stoppare sul nascere le odiose notizie false del bulimico web.
In situazioni ordinarie, questi aspetti sarebbero il pane quotidiano da procacciare per qualunque giornalista. Ma queste non sono situazioni ordinarie. Col coronavirus serve uniformità, univocità. La discrezionalità, le informazioni parziali lasciate ai sindaci, ad esempio, non giovano a nessuno. Prima si capirà questo e meglio si affronterà la peggiore crisi del Dopoguerra.