Il cadavere dell'ex collaboratore trovato a bordo della sua auto nel teramano. Si pensa ad un malore, ma sarà eseguita l'autopsia. Fece dichiarazioni sugli omicidi Musella e Costantino
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È giallo sulla morte dell’ex collaboratore di giustizia Domenico Cera. L’uomo, 68 anni, originario della Calabria ma da tempo residente nella zona di Teramo, è stato trovato senza vita all’interno della sua Skoda Felicia nella mattinata di sabato, intorno alle 10.30 sulla SP 15, nel comune di Mosciano Sant’Angelo.
Secondo una prima ricostruzione, pare che Cera, giunto in prossimità di una rotonda, sia finito fuori strada per poi colpire un albero d’ulivo. Un’automobilista che passava in quel momento, accortosi dell’incidente, ha allertato i soccorsi. Sul posto sono giunti gli uomini della polizia municipale e dei vigili del fuoco. Ancora da chiarire, però, le cause che lo hanno condotto alla morte. Una delle ipotesi al vaglio degli inquirenti è che Cera possa aver accusato un malore letale. Ma non si escludono anche altre piste. Il passato di Cera, infatti, racconta di una storia fatta anche di dichiarazioni di un certo peso.
Dal delitto Musella a quello di Angela Costantino
Cera aveva rilasciato propalazioni all’autorità giudiziaria concernenti due fatti di sangue molto importanti, verificatisi a Reggio Calabria.
Il primo è quello relativo all’omicidio di Gennaro Musella, l’ingegnere fatto saltare in aria con la propria auto il 3 maggio del 1982. Cera indicò ai magistrati nomi e cognomi di coloro che riteneva responsabili della morte di Musella, facendo riferimento ai rapporti fra la ‘ndrangheta calabrese e Cosa nostra siciliana, nello specifico la cosche De Stefano e quel Nitto Santapaola che, a detta del pentito, avrebbe inviato a Reggio due sicari, nonché fornito il telecomando per l’esplosione dell’autobomba. Marchingegno che sarebbe stato consegnato durante una visita a Catania, dove Cera risultava presente. L’indagine fu conclusa ma non si arrivò mai ad un processo.
Il secondo delitto eccellente, per il quale Cera rese dichiarazioni è quello di Angela Costantino, moglie di Pietro Lo Giudice, uno dei 13 fratelli dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta operante nel territorio di Santa Caterina. Cera, assieme ad altri collaboratori di giustizia come Paolo Iannò e Maurizio Lo Giudice, indicò in Salvatore Pennestrì uno degli autori dell’omicidio. Alla base di quel delitto ci sarebbe stato un “accordo di famiglia” per punire una storia extraconiugale di Angela, nel periodo in cui il marito era detenuto. L’omicidio della giovane sarebbe da ricondurre, dunque, alla volontà di vendicare quella che i mafiosi ritennero un’offesa al buon nome della famiglia Lo Giudice. Pennestrì a Bruno Stilo furono condannati poi in via definitiva a 30 anni di reclusione.
Indagini sulla morte di Cera
Gli investigatori, proprio in virtù dell’importanza delle dichiarazioni rese in passato, hanno deciso di vederci chiaro sulla morte di Cera. È stata disposta l’autopsia che dovrà chiarire quali siano state le cause che hanno portato al decesso dell’ex collaboratore di giustizia. Se cioè ci si trovi di fronte ad un malore e dunque a cause naturali, o se, invece, la morte sia addebitabile a qualcosa di diverso.