«Scusate se vi disturbo e annoio con le mie polemiche, ma questa volta è davvero importante fare questo appello alle istituzioni della mia provincia (Vibo Valentia). Come sapete io sono affetta da una malattia rara (Atassia Spinocerebellare Sca1) che non mi consentirà di vivere a lungo. Ho visto morire mio padre, la mia sorellina, nonni, zii e cugini di questa terribile malattia. E anche io, come loro, ho purtroppo una vita a tempo».

È questo il crudo incipit del messaggio che una giovane vibonese, Francesca Andrea Kristel, affida ai social network per denunciare l’interruzione della terapia domiciliare da parte dell’Asp di Vibo Valentia e appellarsi alle istituzioni affinché il servizio “salvavita” venga ripristinato.

«Scrivo queste 4 righe non perché sono in cerca di un miracolo - precisa -, anche se non vi nego che ogni notte sogno di svegliarmi una mattina e di riuscire a correre come una pazza! Ma no, nessun miracolo, perché sono consapevole della realtà. Però c'è una cosa che mi fa stare meglio e incredibilmente mi allunga la vita: le terapie domiciliari. Ovvero persone qualificate che vengono a casa e aiutano il mio piccolo corpo, sempre più rannicchiato in se stesso, a distendersi e a rilassarsi. E per una come me, costretta ormai da anni a stare seduta immobile, sapete cosa vuol dire avere 5 minuti di pace? Tanto, tutto».

Quindi passa a spiegare il cuore del problema. «Per qualche mese purtroppo queste figure non mi verranno più ad aiutare. Il motivo sembrerebbe sempre il solito: risparmio della Sanità. Delle due terapiste presenti all'Asp di Vibo, una è stata infatti lasciata ferma in ufficio per l'emergenza Covid-19, mentre l'altra ha avuto un problema di salute e sta giustamente in malattia senza che nessuno, però, abbia ancora provveduto a sostituirla. Mi aspettano insomma dei mesi durissimi. Mesi in cui la malattia ricomincerà a correre più veloce. E quando dall'Asl qualcuno magari si degnerà di mandare una terapista sarà forse troppo tardi. Basti pensare che già adesso, per esempio, andare in bagno è praticamente impossibile senza un minimo di sostegno fisico. Il mio corpo è atrofizzato».

Quindi aggiunge: «Dal Comune di Vibo Valentia avevano inoltre promesso di mandare delle Oss e delle volontarie per aiutarmi fisicamente e psicologicamente a vivere meglio. Sarei potuta andare al mare, a mangiare un gelato, a farmi una passeggiata, a vedere il cielo, il sole, le persone per strada. Cose normali, per me eccezionali. Ma niente, nemmeno in questo caso qualcuno si è fatto vivo. Tutti latitano o non rispondono. Al massimo ti stringono le spalle. Ora, sia chiaro, io non sto qui a chiedere l'elemosina o il favore personale o la pietà. Vivo a testa alta da sempre e, fidatevi, ho le spalle abbastanza larghe per sopportare i dolori della vita. Ma su una cosa non riesco a transigere: i miei pochissimi diritti. Perché, badate bene, tutte queste attività che mi hanno tolto sono un mio diritto. Diritto alla salute, diritto alle cure. Diritto ad avere un'esistenza dignitosa. Diritti che sono cose semplici: assicurarmi di vivere un giorno in più. E nel silenzio generale mi stanno condannando, invece, a vivere un giorno in meno. Sono stanca, ma sorrido. E non mollo. Mai».