La sentenza emessa dal Tribunale di Palmi. Gli altri dieci imputati che hanno scelto di essere giudicati in abbreviato, sono già stati condannati in Appello a pene che vanno dai 4 ai tre anni di reclusione
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Si é chiuso con la condanna per tutti i quattro imputati alla sbarra il processo, svoltosi con il rito ordinario, nato dall’operazione “Spazio di libertà”. Il tribunale di Palmi ha inflitto a Giuseppe Trimboli sei anni di reclusione mentre Pietro Melito è stato condannato a tre anni e nei suoi confronti è stata esclusa l’aggravante di aver agevolato la ‘ndrangheta. Per Achille Rocco Scutellà il Collegio ha comminato 12 anni di reclusione mentre per Antonio Cutrì quattro anni e sei mesi. Alla luce della sentenza emessa ieri, regge in primo grado l’impianto accusatorio sostenuto dal pm antimafia Francesco Ponzetta.
Gli imputati sono stato riconosciuti responsabili, dai giudici palmesi, di aver favorito la latitanza dell’ergastolano di Oppido Mamertina Giuseppe Ferraro e di Giuseppe Crea, figlio di Toro Crea, mammasantissima di Rizziconi entrambi catturati dalla Squadra mobile della Questura reggina il 29 gennaio del 2016. Tra le accuse c’era anche quella del favoreggiamento al latitante Antonio Cilona, classe 1980, arrestato dalla Polizia il 5 gennaio 2017. La rete dei presunti fiancheggiatori è stata smantellata nel luglio del 2017 quando la Dda dello Stetto ha firmato un decreto di fermo per 14 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, favoreggiamento personale nei confronti dei tre latitanti. L'inchiesta– che ha condotto alla cattura dei tre latitanti – era caratterizzata da attività di osservazione e pedinamento, supportate da un articolato reticolo di sistemi di videosorveglianza. Straordinario rilievo nel corso delle indagini ha assunto l'impiego di sofisticate attrezzature tecniche che hanno permesso di individuare il covo, di soli 25 metri quadrati in cui Crea e Ferraro avevano scelto di darsi alla macchia.
Un bunker piccolo, ma dotato anche di energia elettrica e tv – i due latitanti avevano tutto. Una cucina attrezzata, un frigorifero, una doccia con tanto di acqua calda, provviste fresche, ma anche un vero e proprio arsenale di armi lunghe e corte, fra cui un "Ak-47" pronte ad essere utilizzate. Appesi alla parete c'erano infatti un kalashnikov, due fucili a pompa, due fucili automatici e otto pistole. Ferraro e Crea, sono stati catturati nei pressi di Maropati- nel cuore della Piana di Gioia Tauro- dagli uomini della Mobile reggina, agli ordini di Francesco Rattà, e grazie all'acume investigativo dei poliziotti diretti dal vice questore aggiunto Fabio Catalano ( adesso capo della Mobile di Cosenza) tutti coordinati dal pm antimafia Luca Miceli ( in servizio negli anni scorsi in riva allo Stetto) e dal Procuratore aggiunto Gaetano Paci. Il blitz che ha portato alla loro cattura é stato di rilievo straordinario: Ferraro è condannato definitivamente all'ergastolo per fatti di sangue ed era latitante da ben 18 anni. Crea, ritenuto uno dei soggetti più pericolosi dell'intero contesto 'ndranghetista, era irreperibile dal 2003, prima in latitanza volontaria e poi, dopo i primi mandati di cattura, spiccati nel 2006. Successivamente la Dda ha ricostruito i ruoli dei soggetti che hanno permesso ai latitanti di sottrarsi alla giustizia per anni. Gli altri 10 imputati che hanno scelto di essere giudicati in abbreviato, sono già stati condannati in Appello a pene che vanno dai 4 ai tre anni di reclusione.