Associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento, falso materiale e ideologico, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, invasione di terreni o edifici, furto in abitazione aggravato e calunnia, reati tutti aggravati dal metodo mafioso: con queste accuse sono finite in carcere nove persone di Isola Capo Rizzuto e Cotronei, alle quali questa mattina i carabinieri hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia.

Cinque le persone finite in carcere e quattro agli arresti domiciliari. Uno dei destinatari della misura è stato arrestato dai carabinieri al porto di Palermo, dove era appena sbarcato dopo una crociera nel Mediterraneo. I carabinieri della Compagnia di Crotone, supportati da quelli delle Compagnie di Cirò Marina e di Petilia Policastro, nonché da quelli dello squadrone eliportato Cacciatori “Calabria” e del Nucleo cinofili di Vibo Valentia, hanno inoltre eseguito un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore di 45 mila euro. Le persone coinvolte apparterrebbero ad una ndrina denominata ‘Macario’, che gravita nell’orbita della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto.

Le indagini hanno preso il via dalla denuncia del proprietario di un immobile e dell’annesso terreno agricolo, ubicati nella località Marinella di Isola di Capo Rizzuto, che ha raccontato di aver subito minacce, finalizzate all’esproprio del suddetto appezzamento di terreno e alla forzata assunzione quale guardiano di una persona legata al sodalizio. Sono quindi scattate le indagini, protrattesi tra il giugno del 2019 e il settembre del 2022, che si sono avvalse di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, appostamenti e pedinamenti, acquisizioni documentali e delle dichiarazioni rese sia dalle persone offese che da un collaboratore di giustizia. Indagini che hanno confermato l’esistenza di un clan familiare, denominato Macario, con proprie dinamiche criminali e cointeressenze con la cosca Arena, tra loro legati da rapporti di parentela.

Il clan avrebbe esercitato la sua influenza essenzialmente nel territorio a forte vocazione agricola e turistica della località Marinella di Isola di Capo Rizzuto, con l’imposizione di servizi di guardiania nei confronti sia di privati che di una struttura turistica del luogo, costretti dai sodali attraverso la minaccia di danneggiamento agli immobili o ai terreni agricoli: circostanze effettivamente verificatesi in almeno dieci episodi nei confronti di altrettante vittime, che hanno subito tanto danneggiamenti seguiti da incendi e furti aggravati di suppellettili o attrezzature agricole nonché, in un caso, il taglio per dei fini intimidatori di numerose piante di ulivo, per un danno quantificato in circa 100 mila euro.

Le indagini hanno inoltre fatto emergere come il clan avesse costretto sei agricoltori a non riscattare i terreni che avevano ricevuto in uso dall’Arsac (Azienda regionale per lo sviluppo dell’agricoltura calabrese), e a non opporsi al loro successivo tentativo di acquisizione. Per realizzare il loro intento, i sodali del clan avrebbero messo in atto vere e proprie calunnie nei confronti delle vittime presentando denunce pretestuose nei loro confronti, nonché falsa documentazione.

In questo modo avrebbero frodato l’Arsac aumentando il proprio patrimonio immobiliare. Gli inquirenti hanno quindi scoperto una articolata truffa aggravata e continuata, compiuta tra il 2019 e il 2022, per un valore accertato di circa 45 mila euro, ai danni dell’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) e del relativo ente regionale erogatore dei contributi, l’Arcea (Agenzia della Regione Calabria per le erogazioni in agricoltura). Truffa realizzata attraverso la falsificazione della documentazione che attestava il possesso o l’uso dei terreni agricoli in realtà appartenenti ad altre persone, estorte o ignare, allo scopo utilizzando tre prestanome, peraltro risultati percettori del Reddito di cittadinanza. Nel corso delle indagini sono state scoperte anche le frequenti interlocuzioni che il capo della ‘ndrina Macario intratteneva dal carcere nel quale era detenuto con i componenti del suo nucleo familiare invitandoli a rivolgersi ai referenti delle altre cosche del crotonese per dirimere le sue problematiche con gli altri carcerati. Interlocuzioni che avvenivano tramite ambasciate da parte dei suoi parenti ma anche con chiamate telefoniche dal carcere di Castrovillari con un apparecchio abusivo sequestrato dal personale della Polizia penitenziaria nel corso dell’indagine.

Gli arrestati

Maurizio Pugliese, di 57 anni, coadiuvato dal fratello Michele, di 61 anni, sarebbero stati secondo l'accusa, i capi dell'organizzazione criminale. Oltre ai fratelli Pugliese, sono stati arrestati e condotti in carcere, in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro, Gilda Danila Romano, Giuseppina Giordano, di 55 anni, moglie di Maurizio Pugliese, e due figli della coppia, Vincenzo e Vittorina Pugliese, di 33 e 36 anni, tutti di Isola Capo Rizzuto. Gli altri arrestati, per i quali é stata disposta la detenzione domiciliare, sono Giovanni Barberio, di 60 anni; Antonio Pugliese, di 39, figlio di Michele; Giuseppe Vallone, di 22, e Mariangela Pugliese, di 39, figlia anche lei di Maurizio Pugliese e Giuseppina Giordano. Il gruppo è accusato, tra l'altro, di avere richiesto «denaro agli abitanti di 'Marinella' - secondo quanto è scritto nell'ordinanza - in cambio di protezione da parte del clan». La 'ndrina si sarebbe imposta sul territorio dopo che é prevalsa, nei primi anni '90, nel conflitto con la famiglia Capicchiano, egemone prima di allora nel controllo delle attività economiche più remunerative di "Marinella".