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«Il mio datore di lavoro era a conoscenza della mia situazione familiare precaria e abusava di questo disagio personale, minacciando licenziamenti. Per amore di mia figlia, ho accettato di lavorare».
È solo una delle drammatiche testimonianze raccolte dalla guardia di finanza di Melito Porto Salvo, che nei giorni scorsi ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per Salvatore Modaffari, proprietario di una catena di supermercati.
Ora, dagli atti, emergono nuovi particolari che rendono il quadro ancor più a tinte fosche.
Il gip Antonino Laganà, infatti, non esita a definire l’imprenditore come «senza alcuno scrupolo, anche dinanzi a gravi stati di bisogno denunciati dai dipendenti»
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Modafferi dapprima aveva ottenuto 146mila euro per l’avviamento al lavoro di persone svantaggiate. Tra queste, però, alcune non avevano i requisiti richiesti, mentre altre – che li possedevano – erano poi state sostituite da chi non ne aveva titolo.
Da qui è partito il pm Roberto Di Palma, sino a scoprire che, a fronte di buste paga da quasi 1200 euro, i lavoratori ne percepivano in realtà solo 300.
E così sono venute fuori storie drammatiche, come quella di un uomo che, pur avendo rappresentato i gravi problemi personali, venne posto davanti a un bivio: firmare la ricezione della busta paga o non lavorare più. «Accettai tali ricatti – racconta l’uomo ai finanzieri – pur di non essere disoccupato e poter aiutare i miei familiari».
Un quadro sconfortante, su cui i finanzieri stanno facendo ulteriori approfondimenti. Perché è ben chiaro come quanto accaduto a Melito Porto Salvo, non sia assolutamente un caso isolato.
Consolato Minniti