I clan della ‘Ndrangheta puntavano a ‘colonizzare’ il litorale romano, e per farlo sfruttavano la loro consolidata capacità di importare ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America, per poi infiltrarsi nelle amministrazioni locali attraverso la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori, da quello ittico alla gestione e smaltimento dei rifiuti.

Questo è emerso dalle indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma che hanno ricostruito, fra l’altro, l’importazione di 258 chili di cocaina avvenuta nella primavera 2018, tramite un narcotrafficante colombiano, disciolta nel carbone e poi estratta all’interno di un laboratorio allestito a sud della Capitale. Parte della droga, circa 15 chili, è stata trovata in una valigia che era stata nascosta nell’abitazione della sorella di uno degli appartenenti al gruppo criminale.

La ‘Ndrina aveva anche in progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 chili di cocaina nascosti a bordo di un veliero che in origine veniva utilizzato per regate transoceaniche. L’operazione è però saltata quando gli arrestati sono venuti a conoscenza di indagini proprio nei loro confronti.

A capo dell'organizzazione - un distaccamento dalla 'Ndrina di Santa Cristina d'Aspromonte, Reggio Calabria - c'è Giacomo Madaffari e nel gruppo criminale ci sono diversi appartenenti alle cosche originarie di Guardavalle, Catanzaro. Tra queste i Gallace, i Perronace e i Tedesco.

Il gip: «Legami con esponenti delle forze dell'ordine e politici locali»

Le esigenze cautelari a carico degli indagati sono «fondate» alla luce di una «complessiva valutazione del contesto associativo criminale radicatosi nel territorio con la presenza di un locale di ‘Ndrangheta di primissimo piano». A scriverlo il gip di Roma Livio Sabatini nell’ordinanza con cui ha disposto misure nei confronti di 65 persone - 39 in carcere e 26 ai domiciliari - nell’ambito di una indagine della Direzione distrettuale antimafia sull’esistenza di un gruppo criminale attivo nella zona del litorale romano. Il gip parla dell’esistenza di due «associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti anche internazionale» con una «capacità di penetrazione nel tessuto economico e politico della zona di Anzio e Nettuno» con «numerose evidenze comprovanti la disponibilità di canali con pubblici dipendenti infedeli per ottenere concrete, utili e specifiche notizie dei procedimenti coperti da segreto" nonché la "disponibilità di un impressionante numero di armi».

Per il giudice, a questo quadro va «aggiunto da un lato la persistenza sul territorio di un contesto di criminalità organizzata che agisce da decenni e dall’altro i solidi legami esistenti con taluni esponenti delle forze dell’ordine ed esponenti politici locali nonché con altri clan delinquenziali».

Il ruolo di Giacomo Madaffari

«L’intera indagine della Dda ha delineato il ruolo apicale ricoperto da Giacomo Madaffari, presunto capo del locale di ‘Ndrangheta da molti anni e promotore dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti», scrive il gip di Roma Livio Sabatini in relazione alla posizione di Giacomo Madaffari considerato tra i vertici della cosca. «La disamina degli elementi probatori contenuti nei capi ascritti a Madaffari ha rivelato, da un lato, una formidabile capacità direttiva e di controllo del territorio e, dall’altra, l’abilità nell’evitare contatti diretti con i sodali - si legge nelle carte -. La custodia cautelare in carcere è l’unica misura adeguata per il perseguimento di tutte le esigenze cautelari (incluso il pericolo di fuga potendo Giacomo Madaffari contare su numerose conoscenze criminali in Calabria), presidio cautelare indispensabile, in concreto, in ragione della caratura criminale dell’indagato».