Droga, traffico di armi ed estorsioni: il business delle cosche calabresi in Umbria

VIDEO | Eseguiti 27 provvedimenti restrittivi e sequestrati beni per un valore di circa 10 milioni di euro ai danni dei clan, attivi nel Crotonese, Trapasso, Mannolo e Zoffreo e dei Commisso di Siderno

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12 dicembre 2019
12:22

Sono 23 le misure cautelari, determinate dall'operazione della Dda di Catanzaro (sostituti procuratori Antonio De Bernardo, Paolo Sirleo, Domenico Guarascio) denominata "Infectio", condotta dal Servizio centrale operativo e dalle Squadre mobili di Perugia e Catanzaro, emesse dal gip Paola Ciriaco nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e occultamento di armi clandestine, minacce, violenza privata, associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi in danno del sistema bancario.

 


Le cosche nel mirino

L’indagine, approfondendo quanto emerso già nell’operazione “Malapianta” dello scorso maggio, ha disvelato la perdurante operatività delle cosche di ‘ndrangheta Mannolo, Zoffreo e Trapasso di San Leonardo di Cutro (KR) e la loro proiezione in territorio umbro, ove, attraverso stabili collegamenti con la casa madre sembra che avessero impiantato un lucroso traffico di stupefacenti, anche con la complicità di trafficanti albanesi, minato, attraverso attività estorsive, la libera concorrenza nella esecuzione di lavori edili, nonché attivandosi a favore di soggetti candidati alle elezioni amministrative locali.

 

Inoltre, il sodalizio criminale, al quale viene contestata anche la detenzione di armi, avrebbe inquinato il tessuto economico attraverso la predisposizione di società, spesso intestate a prestanome o soggetti inesistenti, in grado di offrire prodotti illeciti (in primis fatture per operazione inesistenti) a favore di compiacenti imprenditori: bussiness, quest’ultimo, che avrebbe visto il coinvolgimento anche di soggetti contigui alla 'ndragheta vibonese e che avrebbe consentito al sodalizio di lucrare cospicui guadagni attraverso sofisticate truffe in danno di diversi istituti di credito e complesse operazioni di riciclaggio del denaro di provenienza delittuosa.

 

Contestualmente alla esecuzione delle misure cautelari personali, si è proceduto, pertanto, al sequestro di numerose società aventi sede in Umbria, Lazio e Lombardia attraverso le quali l’organizzazione criminale pare realizzasse i citati reati economico finanziari.

 

Operazione Core bussiness

Al contempo, con l’operazione, denominata “Core Business”, la Procura distrettuale di Reggio Calabria (procuratore aggiunto  Giuseppe Lombardo, sostituti Simona Ferraiuolo e Giovanni Calamita, e Antonio De Bernardo, applicato al procedimento dalla Direzione nazionale antimafia), nell’ambito di indagini condotte dalle Squadre Mobili di Reggio Calabria e Perugia, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, con contestuale decreto di sequestro preventivo, emessa dal gip del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di 4 soggetti ritenuti responsabili di associazione mafiosa in quanto ritenuti esponenti di vertice ed appartenenti alla cosca Commisso di Siderno (RC).

 

Tra essi figura lo storico leader Cosimo Commisso alias “U quagghia”, scarcerato nello scorso mese di gennaio 2019.

 

In particolare, le odierne indagini- che rappresentano la naturale prosecuzione dell’operazione “Acero-Siderno Connection”- hanno consentito di accertare la perdurante attività del sodalizio dei Commisso e sono state avviate a partite dal 2015, allorquando Cosimo, dopo un lungo periodo di detenzione, si stabilì a Perugia, località Casa del Diavolo, per scontare la misura della detenzione domiciliare, che gli permise di riallacciare i contatti con altri esponenti di spicco del sodalizio come  Antonio Rodà, referente imprenditoriale in Umbria della famiglia Crupi.

 

Proprio con Antonio Rodà, Cosimo Commisso pare abbia affrontato la problematica legata alla salvaguardia dei beni dei Crupi da probabili provvedimenti ablativi dell’Autorità giudiziaria attraverso cui il boss inviava messaggi ad altri sodali di Siderno, ed individuava terreni nella zona di Perugia da destinare a vigneti per la produzione di vino da commercializzare in Canada.

 

Cosimo Commisso avrebbe mantenuto anche contatti in Umbria con esponenti di altre organizzazioni ‘ndranghetistiche operanti nella provincia di Crotone (appunto con esponenti della locale di San Leonardo di Cutro, investigati nell’indagine catanzarese), con cui sembra condividesse dinamiche e questioni di carattere associativo e progettava iniziative imprenditoriali comuni.

 

Tra i destinatari del provvedimento cautelare del Gip di Reggio Calabria, Giovanna Sergi, figura, con un ruolo di spicco, anche il figlio di Cosimo, Francesco Commisso, 36 anni, già coinvolto nell’operazione “Crimine”, nel corso della quale era stato individuato come “Capo giovani”.

 

L’operazione “Core Business” fa luce sugli interessi economici della cosca Commisso e sui rapporti con professionisti e manager, come Giuseppe Minnici, ritenuto businessman di riferimento dell’organizzazione, soprattutto in Umbria.

 

Antonio Rodà e Giuseppe Minnici - unitamente ai fratelli Crupi e Loriana Rodà -, sono anche indagati per aver compiuto azioni simulate - finalizzate ad agevolare l’associazione mafiosa - che con il sistema di “scatole cinesi” messo a punto per schermare il patrimonio economico e celare le effettive possidenze, pare abbiano contribuito ad occultare la riconducibilità piena ed effettiva in capo ai fratelli Crupi della società Anghiari Residence srl in provincia di Arezzo, oggetto di decreto di sequestro preventivo, nella reale disponibilità della consorteria criminosa sidernese, strumentale alla realizzazione del programma criminoso. Prova ne sarebbe, secondo il gip, il fatto che costituiva oggetto di intervento anche da parte di Cosimo Commisso il quale, temendo il sequestro, pare si sia prodigato per salvaguardare l’integrità delle possidenze economiche del gruppo di cui la società predetta si crede facesse parte.

 

 

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