La Corte di Cassazione ha confermato la validità dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma il 27 giugno 2024, che proroga il regime di detenzione differenziato ai sensi dell’articolo 41-bis nei confronti di Domenico Cicero, storico boss della 'ndrangheta cosentina, già condannato all’ergastolo. Tale decisione si fonda sull’attuale e comprovata pericolosità sociale del detenuto, nonostante i rilievi presentati dalla difesa.

Domenico Cicero al 41bis, contesto della decisione

Il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato il reclamo proposto dalla difesa di Cicero, che contestava il decreto ministeriale del 9 ottobre 2023, il quale prorogava per due anni il regime differenziato precedentemente disposto nel 2021. Secondo il Tribunale, Domenico Cicero, capo storico di una cosca di ’ndrangheta con base nella zona di Cosenza, avrebbe mantenuto ancora legami significativi con l’organizzazione criminale, nonostante il periodo di detenzione.

La difesa aveva sostenuto che il quadro probatorio fosse datato e non aggiornato alla situazione attuale. Aveva inoltre fatto riferimento agli sviluppi positivi registrati dai familiari del detenuto, come la revoca delle misure di prevenzione di uno dei figli, e all’assenza di coinvolgimenti del detenuto o della sua famiglia nell’ultimo maxiprocesso “Reset”. Tuttavia, tali argomentazioni non sono state ritenute sufficienti per revocare il regime restrittivo.

Domenico Cicero al 41bis, le motivazioni

La Corte ha ritenuto infondate le doglianze presentate dai difensori del detenuto e ha ribadito la validità del percorso argomentativo seguito dal Tribunale di Sorveglianza.

Secondo la Cassazione, «il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che la relazione comportamentale proveniente dall’istituto di assegnazione ha segnalato che Cicero è incorso in vari rilievi disciplinari» e che, nonostante un successivo miglioramento, «non erano stati prospettati elementi effettivi idonei a dimostrare, in concreto, la sopravvenuta carenza o attenuazione della pericolosità sociale del detenuto».

La decisione si è basata su elementi concreti, tra cui: ruolo storico e attuale di Cicero nell’organizzazione mafiosa: «Il detenuto è stato condannato più volte per associazione mafiosa ed è stato riconosciuto quale capo storico della sua consorteria, ruolo che non ha mai dismesso nemmeno per effetto della sua carcerazione»; persistente legame con il clan: «Il condannato ha continuato a mantenere un saldo e perdurante legame con il sodalizio, pure durante la restrizione carceraria, veicolando direttive di un figlio»; operatività della cosca: «È risultato riscontrato il dato dell’attuale operatività e vitalità dell’organizzazione criminale di riferimento, con potenzialità organizzative e capacità rigenerative mai venute meno».

Assenza di dissociazione

La Corte ha sottolineato che «non sono emersi segnali di mutamento del ruolo di prestigio goduto dal reclamante all’interno del sodalizio criminale, così come non sono affiorati segnali di rivisitazione critica da parte di Cicero in ordine alla sua impostazione di vita». Inoltre, la condotta inframuraria del detenuto ha evidenziato una mancanza di confronto con la gravità dei reati commessi, accompagnata da infrazioni disciplinari fino al gennaio 2023.

Rigetto del ricorso

Nella sentenza si legge che, «ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis, è necessario accertare che la capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione criminale non sia venuta meno». Tale accertamento non richiede una dimostrazione di certezza assoluta, ma «è sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile».

La Corte ha confermato che «il decorso del tempo non può essere considerato elemento risolutivo per dimostrare l’affievolimento della pericolosità sociale del detenuto». Analogamente, il miglioramento della posizione giuridica di uno dei familiari non è stato considerato determinante: «La strada positiva intrapresa dal congiunto non comporta la necessità logica che il padre abbia seguito o stia seguendo il medesimo percorso».

Le conclusioni

In definitiva, la Cassazione ha ribadito che «la proroga del regime detentivo differenziato si fonda sulla verifica della persistenza della pericolosità specifica del detenuto, elemento dimostrato dal suo notevole profilo criminale, dalla posizione rivestita nel sodalizio e dalla capacità di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata». La decisione è stata pertanto confermata, consolidando l’utilizzo del regime 41bis come strumento fondamentale per contrastare le attività delle organizzazioni mafiose anche in contesto detentivo.