Lo hanno colpito da dietro, al rene e a un gluteo. Un agguato vero e proprio, sotto casa e in mezzo alla gente. Un agguato con tutti i canoni della spedizione mafiosa. La vittima, ricoverata in gravi condizioni, è Giancarlo Tei, giovane pluripregiudicato romano che la distrettuale antimafia della Capitale considera l’elemento cerniera tra la banda di albanesi guidati da Elvis Demce e le cosche del crimine organizzato reggino che quella banda rifornisce di coca all’ingrosso, con carichi che arrivano anche a 100 chili per volta.

Un agguato che segna un nuovo punto di non ritorno a Roma tra le bande consolidate e quelle che tentano di guadagnare posizioni sul mercato dello spaccio più importante del continente e che vede coinvolte anche le cosche del reggino. Giancarlo Lei infatti viene considerato dagli inquirenti come «il referente su Roma dei fornitori calabresi». È lui, sostiene la procura romana che proprio in questi giorni ha chiuso le indagini sull’ennesimo traffico di cocaina e armi sull’asse Roma-Calabria, ad essere il personaggio cardine tra i fornitori di San Luca e Siderno e il gruppo di Demce e degli albanesi di ponte Milvio, che quei contatti li avrebbero “ereditati” dopo l’uccisione di Piscitelli, l’ex capo ultrà della Lazio legato mani e piedi con il mondo dei narcos. 

Trenta le persone per cui la procura di Roma chiederà a breve il processo, e tra i nomi degli indagati, oltre allo stesso Tei, spuntano alcuni dei casati di ‘ndrangheta più pesanti della provincia. Nirta, Giorgi, Romeo, Condello: tutti incastrati grazie alle intercettazioni sui dispositivi Skyecc. Ed è proprio dalla lettura delle chat che gli indagati consideravano inviolabili che i carabinieri del nucleo operativo di Roma hanno ricostruito la fitta rete di contatti tra le piazze di spaccio romane e i fornitori all’ingrosso calabresi. Un puzzle fatto di nomi in codice e codici identificativi che certificano il ruolo dei calabresi come fornitori dei “grossisti” che operano nelle redditizie piazze di spaccio all’interno del raccordo: “Zio” e “Spartaco”, “Rangara”, “er Chiappa” e “Noodles”. Tutti ingranaggi di un meccanismo che, una volta avviato, era in grado di garantire fino a 100 chili di cocaina a spedizione sull’asse Calabria-Roma. E che, all’occorrenza, era in grado di recuperare kalashnikov e mitragliette Uzi. 

Il canale calabrese infatti non si occupa solo di rifornire cocaina. All’occorrenza, i narcos possono anche trovare armi da guerra e mitragliette corte da usare per fare «le punture» ai rivali, se il fornitore abituale è momentaneamente impossibilitato a farlo. È lo stesso Demce, anche lui tra i 30 indagati, a raccontarlo durante una conversazione decrittata con il mammasantissima calabrese che si nasconde dietro il codice identificativo “6ffefa”: «Compare, io prima per le armi mi servivo da un mio caro amico di Siderno che le trattava, ma ora è dentro. Voglio comprarmi 20mila euro di armi, potete aiutarmi? Mi serve un Ak47, un uzi M12 Scorpion. Poi le corte mi servono Glok 17, Beretta 9x21 parabellum e qualche 3,4 bombe a mano ananas».