Seppelliti vivi in casa propria. Non usa mezzi termini Massimo Splendore, cittadino di Cetraro, per descrivere la situazione che lui e la sua compagna stanno vivendo ormai da 25 giorni. «Non è così che deve funzionare - dice -. Noi riusciamo ad andare avanti grazie agli amici e alle persone che ci vogliono bene. Ma chi è solo o vive nelle grandi città come fa a sopravvivere?».

L'inizio dell'odissea

È il 22 marzo, la compagna di Massimo si sottopone al test del tampone e risulta positiva. Non essendoci a disposizione un'altra struttura in cui trasferirsi, sono costretti a vivere sotto lo stesso tetto. «È così che ci si contagia - dice l'uomo -. Io all'inizio ero negativo e lo sono rimasto fino al 29 marzo. Probabilmente mi sono contagiato in casa». Per fortuna le loro condizioni di salute sono buone e possono essere curati a casa, ma a un certo punto la donna ha necessità di assumere eparina mediante delle punturine sotto pelle. Massimo chiama l'Usca territoriale, le cosiddette unità speciali di continuità assistenziali che in teoria dovrebbero occuparsi dei contagiati curabili a domicilio. «In realtà - dice Massimo - mi hanno risposto di non avere i mezzi necessari per raggiungerci».

Così i due si appellano al medico curante, che con coraggio e senso del dovere si presenta a casa loro pur non avendo gli strumenti adatti. «Ai piedi - ricorda Massimo - indossava buste per la spesa, mentre in volto aveva una maschera da sub, che ha comprato a sue spese». Ovviamente, il medico si è trovato in difficoltà. «Abbiamo capito che non era fattibile, così abbiamo scaricato dei video su youtube e abbiamo imparato dai tutorial come somministrarsi l'eparina. Tutt'ora la mia compagna si fa le punture da sola».

Le controversie sui tamponi

Massimo si è sottoposto al tampone molecolare l'ultima volta giovedì scorso, ma non ha ancora ricevuto l'esito. In teoria potrebbe essersi negativizzato, ma a causa dei ritardi è costretto a prolungare il riposo forzato a casa e nel dubbio continua a vivere con la mascherina anche in casa, 24 ore al giorno. Ma le controversie sui tamponi non sono finite. « L'8 aprile mi sono recato a San Lucido per sottopormi al test. Ho percorso le scale del condominio, ho preso l'auto, mi sono fermato a una stazione di servizio per fare rifornimento, ovviamente a un distributore automatico, ma tutto questo vi sembra normale?».

In pratica, pur essendo in teoria ancora positivo al Covid, l'Asp gli ha ordinato di recarsi a San Lucido per sottoporsi al tampone e durante al tragitto non si è imbattuto in nessun controllo. «Sono una persona responsabile e ho tirato dritto, ma se avessi voluto fermarmi al bar a prendere un caffè o fare la spesa in un supermercato, chi me lo avrebbe impedito? È così che si tiene sotto controllo una pandemia?».

Zero aiuti e assurdi paradossi

Se dal punto di vista sanitario l'era Covid è un disastro, non va meglio dal punto di vista economico, non solo per chi attende invano ristori e aiuti governativi. Massimo, che è percettore del reddito di cittadinanza, non è esente da problemi. «La carta, che è personale e può essere usata solo dall'intestatario, non consente operazioni on line e per pagare il fitto tramite bonifico è necessario recarsi alle Poste. Ho fatto presente ai responsabili dell'ufficio postale di riferimento che sono risultato positivo al Covid, ma non hanno voluto sentire ragioni, il bonifico non si può fare. Non solo, bisogna anche tenere conto del fatto che se non spendo le somme accreditate entro la fine del mese, il conto sarà azzerato e io avrò perso quello che mi spetta». Stesso discorso vale per medicine e alimenti. 

«Ma per quello grazie al cielo ci pensano parenti e amici - dice ancora Massimo -, senza di loro non so come avrei fatto». Poi conclude: «L'isolamento come strumento di contenimento del contagio, di per sé, è una misura giusta. Ma al momento dell'ordinanza di quarantena obbligatoria dovrebbe scattare un sistema di assistenza e di aiuti per tutto il periodo in cui viene impedito a un essere umano di avere contatti con chiunque». Invece si viene lasciati lì, da soli, con la paura di non farcela e un senso di inquietudine che non ti abbandona mai, non come certe istituzioni, a sperare e pregare che non sia tu la prossima vittima e di avere abbastanza tempo per poter raccontare, una volta di più, quel senso di impotenza che ti pervade costantemente quando vivi in Calabria e non hai l'amico giusto.