«Sono rilevanti e incoraggianti i numeri dei giovani che hanno aderito alla nostra iniziativa “Notti sicure” che, per la prima volta, attraverso il trasporto pubblico, ha coniugato divertimento dei ragazzi e desiderio di sicurezza dei genitori che aspettano il ritorno a casa dei loro figli». Magari gli stessi che il giorno dopo, insieme a loro, angosciati si sono messi in fila per fare un tampone.

La memoria cortissima di Santelli

Probabilmente dimentica dell’ordinanza con cui - esattamente tre giorni dopo l’apparizione in console del suo assessore Fausto Orsomarso - ha dovuto chiudere in fretta e furia le discoteche e ordinato la mascherina obbligatoria anche all’aperto (ma solo in notturna, perché a quanto pare il Covid19 al sole si vergogna) la governatrice Santelli si compiace dei bus che hanno permesso di incentivare la movida. In tempi di pace, una buona idea. Quanto meno curiosa in tempi in cui anche le pietre ormai sanno che è bene evitare gli assembramenti, la Prefettura di Cosenza è stata costretta a mandare l’esercito per strada per garantire un minimo di distanziamento sociale e il rispetto delle più banali cautele, mentre in tutta la Calabria si moltiplicavano i focolai post aperitivo/serata/festino.

La sparizione del Covid19 dall’agenda politica

Ma a quanto pare, a dispetto dei numeri, il Covid19 in Calabria non esiste più. Quanto meno nell’agenda politica della Regione e della sua presidente, passata dall’invocare l’esercito ai confini a implorare i turisti di invadere la Calabria, senza disporre controllo alcuno, «perché il rischio qui è solo di ingrassare». Il risultato – perfettamente gestibile e fortunatamente non preoccupante – è stato un’impennata nel numero dei contagi che da qualche settimana toccano punte non troppo distanti da quelle di marzo/aprile.

Questione di numeri

Un esempio? Il 22 marzo, giorno dell’ordinanza, firmata da Santelli (ipsa dixit) «dopo una crisi isterica», per blindare la regione i contagi registrati erano 12. Il giorno prima 30. Quello prima ancora 22. Nell’ultima settimana, dal 5 all’12 settembre il bollettino recita: +19; +27; +17; +8; +19; +8; +8;+18. Certo, la situazione in Italia non è assolutamente paragonabile a quella dei mesi del lockdown e più di un esperto conferma la minore aggressività del coronavirus. Ma se è vero che in Calabria sono tornate le zone rosse, qualche ragione di maggiore attenzione alla “questione (per nulla archiviata) coronavirus” ci sarebbe. Anche perché a breve riapriranno le scuole, luogo di assembramento naturale di studenti di ogni ordine e grado.

Avanti tutta ma alla cieca

Eppure, dopo un’estate da cicala, la Calabria si avvia all’autunno con lo stesso bagaglio di interrogativi senza risposta su numeri e stato dell’arte dell’annunciato potenziamento del sistema sanitario regionale, senza alcun dato sui soldi fino ad oggi spesi e sulla loro destinazione, senza uno straccio di mappatura sulla reale diffusione del Covid19 in regione. Al momento, gli unici dati aggregati sono quelli relativi ai contagi accertati. E gli asintomatici? Non è dato sapere. L’annunciata campagna di screening con i sierologici è rimasta nel campo delle intenzioni. «Aspettiamo indicazioni sull’efficacia dei vari test in commercio» aveva detto la presidente Santelli.

I dati lasciati in mano ai privati

Evidentemente dalle parti della Cittadella stanno ancora aspettando, mentre i privati sono stati autorizzati ad eseguire sierologici (ovviamente a pagamento) da mesi. Se i dati relativi vengano messi a disposizione della Regione, in che modo e in che termini, non è dato sapete. Stessa storia vale per i tamponi che laboratori e istituti privati o convenzionati sono stati autorizzati ad eseguire, con prezzo variabile a seconda della celerità con cui viene comunicato l’esito. I risultati vengono o meno comunicati a chi in Regione dopo mesi ancora litiga con i numeri per partorire un bollettino? A quanto pare no. Sommato all’assai scarsa diffusione dell’app Immuni, il tutto regala alla Calabria un gigantesco punto interrogativo sulla reale diffusione dell'epidemia in regione, dote poi non così di pregio per affrontare i mesi a venire.

Quale potenziamento?

Stessa nebbia non può che registrarsi sul fronte della dotazione sanitaria. E a scorrere – anche rapidamente – i due Dca firmati dal commissario ad acta Saverio Cotticelli il 18 giugno e il 22 luglio scorsi, il dubbio che il potenziamento sia rimasto più un annuncio che una realtà viene. Il primo provvedimento è il “Documento di riordino della Rete Ospedaliera in Emergenza Covid-19”. Cotticelli – tornato alla guida della sanità regionale dopo i mesi dell’emergenza, durante i quali il governo ha consegnato le chiavi del settore ai governatori anche nelle regioni commissariate - ne sollecita la rapida approvazione perché entro 15 giorni va trasmesso rapidamente a Roma.

Laboratori? Tutto da fare

Un dato salta subito agli occhi. Nel testo si legge infatti: «Rilevato che, con successivo provvedimento, si procederà alla costituzione delle reti dei laboratori di microbiologia per la diagnosi di infezione da SARS-COV-2». Un paio di righe che spiegano come mai a sei mesi dall’emergenza in Calabria si continuino a processare solo 1500 tamponi al giorno. Nonostante l’emergenza si sia rivelata una sorta di jolly per la regione - altrimenti sottoposta all’ennesima cura di tagli, lacrime e sangue dal piano di rientro – al momento nulla è stato fatto sul fronte del potenziamento degli strumenti diagnostici. E la cosa – a quanto pare - resta ancora tutta da progettare. Un po' come prepararsi ad un viaggio e programmare -anzi, annunciare in dettaglio il programma un volta arrivati a destinazione - senza conoscere neanche il sentiero.

L'incognita delle terapie intensive

Il piano di potenziamento invece è dettagliato e ambizioso. Ma mostra anche i limiti delle politiche fino ad oggi messe in atto, con buona pace dei reiterati annunci sul “raddoppio delle terapie intensive” e/o sui 400 posti raggiunti. In realtà mette nero su bianco Cotticelli, i posti di terapia intensiva in regione sono 146. All’inizio dell’emergenza erano 107. Mentre altrove sono stati tirati su interi ospedali, la Calabria nei mesi dell’emergenza è riuscita a partorire solo 39 postazioni in più, ma per indicazione ministeriale ne servono almeno 280. Allo scopo, servono altri 24,5 milioni. Quanto e come sia stato speso non è dato sapere.

Il giallo delle subintensive

Stessa cosa si registra sul fronte delle subintensive. Al momento si sa che ne servono 136, ma che «la rimodulazione dei posti letto di terapia semi-intensiva, in relazione all’attuale situazione strutturale dei Presidi Ospedalieri della Regione, consente l’attivazione di 123 pl di terapia semi-intensiva. Qualcosa - si comprende - è stato fatto «mediante adeguamento e ristrutturazione di unità di area medica per acuzie, prevedendo che tali postazioni siano fruibili, nel rispetto della separazione dei percorsi, sia in regime ordinario, sia in regime di trattamento infettivologico ad alta intensità». Altro, si legge, è ancora da fare, è stato individuato dove e come, ma da qui alla realizzazione ci sono più di 15 milioni da mettere a budget.

Progetto o libro dei sogni?

Nel piano elencano anche quattro strutture mobili da 75 posti ciascuno da attivare in caso di necessità, ma è stata a stento individuata l’area su cui posizionarle, potenziamento dei servizi di trasporto, incremento di personale e incentivi per quello in servizio impegnato nei reparti a rischio. Tutti argomenti di cui si parla – ovviamente non in dettaglio e senza uno straccio di dato o cifra alla mano - dall’inizio dell’emergenza, ma che evidentemente rimangono ancora nel libro dei sogni. Non proprio una straordinaria dimostrazione di efficienza. Eppure Santelli ha avuto a disposizione strumenti che nessun amministratore regionale ha mai avuto dai tempi del commissariamento della sanità calabrese: assegni in bianco e zero vincoli di spesa. E ha chiamato a supporto più di un esperto, andato via via ad ingrossare la pachidermica quanto impalpabile task force, tanto silente da poter essere attualmente dichiarata missing in action.

Tra carta e realtà

Il secondo documento è un dettagliato piano di “potenziamento e riorganizzazione della rete di assistenza territoriale”. Obiettivo, si legge, «creare, attraverso la rete di assistenza territoriale, un sistema di accertamento diagnostico, monitoraggio e sorveglianza dei casi confermati e dei loro contatti di SARS-CoV-2, al fine di intercettare tempestivamente eventuali focolai di trasmissione del virus, oltre ad assicurare una presa in carico precoce dei pazienti contagiati, di quelli in isolamento domiciliare obbligatorio, dimessi o paucisintomatici non ricoverati e dei pazienti in isolamento fiduciario, riducendo l'ospedalizzazione solo ai casi di elevata complessità assistenziale». Con che tempi, non è troppo chiaro.

La lista dei desideri

Di fatto, si tratta di un minuzioso elenco di linee guida, protocolli, strutture di gestione e comando - dal gruppo tecnico e centrale operativa regionale per scendere fino alle 37 Unità Speciali di Continuità Assistenziali (USCA). In più si prevedono, convenzioni con alberghi da individuare come strutture di quarantena, programmi di telemedicina con tanto di dispositivi - fra cui tablet, smartphone e attrezzatura medica - dedicati da acquistare, infermieri di famiglia e di comunità da formare e assumere, assistenti sociali da affiancare al personale sanitario. E qualcosa evidentemente è stato fatto se è vero che nel documento c’è uno scarno paragrafetto sull’impatto economico secondo il quale «il costo stimato settimanale del personale infermieristico è pari a€ 319.200 per un totale di€ 10.214.400, mentre per gli assistenti sociali è previsto un costo settimanale pari a €12.240 che comporta un costo complessivo di € 391.680». Il dato è calcolato «presupponendo una durata del contratto di lavoro di 32 settimane a partire dal 15/05/2020 fino al 31/12/2020». Ergo, qualcuno è stato assunto. Con che criteri, non è dato sapere. Un report sulle loro attività – che risulti – non è mai stato fatto, né la Regione lo ha comunicato. Quanto, come e se ci siano stati investimenti sul resto delle voci elencate nel piano di Cotticelli non è noto. Che risorse siano state destinate, tanto meno.

Ma il Covid c’è o non c’è?

Su che base – alla luce della mancanza di una seria mappatura epidemiologica che tenga conto anche dell’esito degli esami che la Regione ha lasciato fare ai privati – è mistero. Di certo però si intuisce – quanto meno per la capillarità  immaginata – che gli investimenti necessari per mettere in piedi tale rete siano importanti. Ma come? Il Covid19 non era ormai acqua passata? In Calabria il rischio non era – per usare le parole di Santelli - «solo quello di ingrassare»? Perché dai provvedimenti licenziati dal commissario ad acta in piena estate, quando si decideva di saltare a pie’ pari qualsiasi forma di prevenzione (a partire da un banale tampone all’arrivo) e ci si nascondeva dietro la foglia di fico del “censimento” degli arrivi in Calabria, scaricando sui singoli il costo sociale dell’epidemia, pare proprio di no. E la moltiplicazione esponenziale dei focolai da movida sembra confermarlo.

Cicale e formiche

Un dubbio che la governatrice e la sua Giunta farebbero bene a sciogliere. Perché a breve scuole, tribunali e uffici pubblici riapriranno i battenti e ricominceranno a lavorare a pieno ritmo. E sarebbe il caso di avere almeno uno straccio di strategia quanto meno per monitorare la situazione. Ma i mesi di lockdown passati a rincorrere gli eventi, non sembrano essere serviti da lezione. Che si sappia, la cicala Calabria ha cantato tutta l’estate e non resta che sperare che l’inverno non sia troppo rigido.