Con questo escamotage contava di non pagare spese per affitti, acqua e condominio al proprietario del magazzino in cui insisteva la sua attività in pieno centro città
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Simulare l’esistenza di una nuova attività commerciale che invece è identica alla vecchia, servirà anche a sfuggire ai debiti del passato, ma comporta delle conseguenze penali. La sentenza pronunciata giovedì dal giudice Vittoria Calà del tribunale di Cosenza traccia proprio questo solco, e a caderci dentro è un imprenditore cosentino, titolare di un negozio d’abbigliamento.
A partire dal 2014, l’uomo decide di non pagare più i canoni del magazzino che aveva preso in affitto nel centro della città, e quando i proprietari gli intimano lo sfratto scoprono che il loro inquilino ha già levato le tende. Si è trasferito pochi metri più avanti: stessa via e soprattutto stessa insegna, con identica merce in esposizione. Tutto come prima, insomma. O quasi.
I creditori bussano alla sua nuova porta per notificargli il precetto giudiziario, ma l’operazione fallisce perché, a ben vedere, qualcosa di nuovo c’è: la ragione sociale dell’attività commerciale è cambiata, e questo escamotage gli consente di bruciare loro ben undicimila euro tra affitti non pagati, morosità per spese di condominio e canoni dell’acqua. Il successo si rivelerà per lui effimero.
Il vecchio padrone di casa, infatti, lo insegue in tribunale per il tramite del suo avvocato Dorothy De Cicco, e il commerciante si ritrova così imputato per mancata esecuzione dolosa di provvedimento giudiziario, un’accusa che 48 ore fa gli ha comportato quattro mesi di condanna (con pena sospesa e non menzione) più il pagamento delle spese processuali, incluse quelle della costituita parte civile, per un totale di tremila euro.
Proprio la parte civile aveva chiesto anche il riconoscimento di una provvisionale pari alla cifra dovuta dall’imputato, ma il giudice non ha dato il via libera. Se ne riparlerà in Appello.