Testa di Serpente e Reset rientrano per la Dda di Catanzaro e per una parte delle difese in un medesimo disegno criminoso. Recovery invece interessa più agli italiani che al gruppo degli “zingari”
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
La 'ndrangheta di Cosenza è rinata nel 2018. Lo hanno spiegato nell'aula bunker di Lamezia Terme, sede del rito ordinario di "Reset", gli investigatori chiamati a testimoniare dalla Dda di Catanzaro. Anno della rinascita inteso come momento di maggior incisività criminale sul territorio cosentino, dove i clan hanno proseguito nella fase di rinnovamento e intensificazione delle attività illecite.
Celestino Abbruzzese ha dato la traccia
In realtà, la musica sarebbe cambiata due anni prima, come ha dichiarato il pentito Celestino Abbruzzese. Il collaboratore di giustizia, già esponente del gruppo Abbruzzese "Banana" di via Popilia, ha raccontato che dopo essere tornato ai domiciliari per "Job Center" aveva appreso da alcuni suoi amici-sodali che a Cosenza le cose erano cambiate. «Comandava Porcaro», ha riferito qualche giorno fa. E in effetti la risposta dello Stato è iniziata proprio dal gruppo dell'ex "reggente" del clan degli italiani, pentitosi di essersi pentito, e spedito al 41 bis dai magistrati Cubellotti e Valerio dopo aver interrotto il rapporto collaborativo.
In principio fu Testa di Serpente
A distanza di pochi anni da quel mutamento, condizionato anche dal fatto che a febbraio 2016 il boss Patitucci fu arrestato perché trovato in possesso di una pistola all'interno della sua auto, la Dda di Catanzaro ha messo insieme i primi puzzle del mosaico, facendo intendere che la pressione investigativa sarebbe stata ancora più forte. Così nasce "Testa di Serpente", la prima indagine del pacchetto antimafia che ha inferto un primo duro colpo alla 'ndrangheta di Cosenza. Sia nel processo abbreviato che in quello ordinario (in attesa che venga celebrato il processo di secondo grado) sono arrivate condanne pesanti per i big dell'inchiesta. Ci riferiamo a Roberto Porcaro (che poi in appello ha concordato la pena) e ai fratelli "Banana", Luigi, Marco e Nicola Abbruzzese, ritenuti al vertice del clan degli "zingari" di Cosenza.
Il processo | Testa di Serpente, quei mafiosi diventati mediatori per “liberare” il terreno conteso di un avvocato cosentino
Da Michele Bruni a Maurizio Rango
Due anni dopo il Covid, che ha devastato sia l'economia reale e legale che quella illegale, l'ufficio di procura di Catanzaro, ha alzato il tiro, disarticolando le due cosche operanti in città: quella degli italiani e quella degli "zingari". Quest'ultima era nata nei primi anni del Duemila, con il patto mafioso tra Michele Bruni e Giovanni Abruzzese, poi modificato in "Rango-zingari", per la scomparsa del temuto boss della dinastia dei "Bella Bella". E ciò ha portato a compiere l'ultimo (vero) omicidio di stampo mafioso a Cosenza. Parliamo della morte di Luca Bruni.
Tutti nel calderone (anche gli imputati-vittime)
Per azzerare le organizzazioni criminali di stampo 'ndranghetistico, la Dda di Catanzaro aveva denominato l'operazione "Reset". Il nome dice tutto (anche se la norma sulla presunzione d'innocenza varata dal Governo Draghi, su proposta di Enrico Costa e Marta Cartabia, impedirebbe alle procure di fare questo). L'inchiesta sbocciata nel 2022 ha stroncato in parte le attività illecite dei clan. Per altri versi, invece, ha tirato in mezzo persone, oggi imputati, che appaiono vittime a pieno titolo. Ma a questo ci penseranno i giudici.
Inchiesta Reset | Le rivelazioni del pentito Lamanna sul traffico di droga a Cosenza: «Dal 2014 zingari e italiani non spartivano più i soldi»
Il contributo investigativo della procura di Cosenza
Con "Reset", la Dda di Catanzaro ha preso "due piccioni con una fava". Nel senso che talmente erano vaste e rilevanti le intercettazioni eseguite contro gli indagati che i magistrati antimafia sono riusciti a realizzare un'altra inchiesta con numeri importanti. Sono riusciti in questo intento, però, anche grazie al lavoro svolto nel corso degli ultimi anni dalla procura di Cosenza che ha supportato l'azione antimafia con le indagini svolte dal pubblico ministero Giuseppe Cozzolino, fronte narcotraffico, e dalla collega Maria Luigia d'Andrea, fronte estorsioni. Si tratta ovviamente, parlando di "Recovery", di un procedimento penale che è ancora in una fase preliminare. E gli avvocati, negli ultimi giorni, hanno lamentato una compromissione e limitazione del diritto di difesa. Infatti, i penalisti avranno pochi giorni di tempo per presentare il ricorso al Riesame in quanto gli atti d'indagine sono stati depositati prima della fissazione degli interrogatori di garanzia. Di solito, questo passaggio avviene qualche giorno dopo che l'indagato compare davanti al gip (e/o gip delegato).
Il "Sistema": tutti possono spacciare
Sommando le operazioni arriviamo a quasi 430 inquisiti, di cui almeno una trentina presenti nelle tre indagini portate a conoscenza dell'opinione pubblica. E cosa dicono queste tre inchieste? Rilevano senza dubbio un aumento delle attività illecite riguardanti il traffico di stupefacenti, visto che il "Sistema" consente a tutti di spacciare, purché la droga venga acquistata dagli italiani e dagli "zingari". Il narcotraffico infatti comporta meno rischi, mentre gli atti intimidatori a scopo estorsivo possono tramutarsi in denunce, anche se sono poche rispetto agli episodi accertati. Ed allora, da questo punto di vista, considerata la possibilità di rimanere in carcere a lungo, una parte degli interventi difensivi vanno dritti al sodo.
Cos'è cambiato dal 2006 ad oggi
Se la storia recente della 'ndrangheta di Cosenza parte dal 2006, o come ipotizza qualcuno dal 2010, una buona parte delle contestazioni - dall'associazione mafiosa ai reati aggravati dal metodo o dall'agevolazione - rientrano in un unico modus operandi che ad oggi non sembra mutato. Come a dire, la confederazione va letta in un altro senso. I clan non si fanno la guerra, evitano di spararsi addosso e portano a casa proventi illeciti. Ma rispetto a 15-20 anni nulla è cambiato.
‘Ndrangheta | Storie dalla guerra di mafia a Cosenza, quando il mitra poggiato sulla bocca del boss fece cilecca e lo risparmiò
Medesimo disegno criminoso
Di recente, nel processo abbreviato di Reset, alcune discussioni difensive sono state incentrate sul vincolo della continuazione. Chi fa parte del gruppo "zingari" ha richiamato il processo "Nuova Famiglia" e "Testa di Serpente". Chi è inserito nel sodalizio mafioso degli italiani cita le precedenti sentenze che hanno riguardato il clan "Lanzino-Patitucci". A sostegno di queste tesi arrivano anche le dichiarazioni dei vertici. A Reset in udienza preliminare, il boss Patitucci e il suo "alter ego" Michele Di Puppo, hanno fatto riferimento all'esistenza di un gruppo di "amici", da intendersi nel linguaggio antimafia come clan di 'ndrangheta, separato però dal clan degli "zingari".
Ultimamente a Reset, l'imputato Nicola Abbruzzese "Banana", in una breve dichiarazione spontanea, ha ammesso tutti gli addebiti. E anche in questo caso la difesa ha invocato il reato continuato che viene riconosciuto dalla giurisprudenza «quando una stessa persona compie, con più azioni od omissioni, una pluralità di violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge, anche in tempi diversi, in esecuzione del medesimo disegno criminoso». E dunque, "Testa di Serpente" e "Reset" sono per i due clan di Cosenza due facce della stessa medaglia investigativa. In attesa che "Recovery" lo diventi pure per gli italiani.