In Italia il rapporto è di tre ad uno a favore del gentil sesso. Secondo l’Istituto superiore di sanità le differenze sarebbero determinate da alcuni stili di vita, genetica ed ormoni
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Stili di vita, genetica e ormoni: sono alcune delle ipotesi che spiegherebbero secondo l'Istituto superiore di sanità perché le donne sono meno esposte al Covid-19.
I dati
Le statistiche rilevate nel mondo, infatti, parlano chiaro: l'infezione da SARS-CoV-2 produce effetti diversi negli uomini e nelle donne. Questo è quanto emerge sia dalla percentuale dei contagi, sia dal tasso di letalità. Nello specifico, in Cina il tasso di letalità dei casi confermati è pari al 4,7% negli uomini a fronte del 2,8% riscontrato nelle donne. I dati italiani, si legge in un approfondimento dedicato dall'Istituto alle differenze di genere nella malattia, confermano questo andamento con un rapporto di circa 3 a 1 a vantaggio delle donne che si mantiene costante in tutte le fasce d'età.
Le ipotesi
Per spiegare questo fenomeno sono state avanzate alcune ipotesi generali tra cui: una maggiore tendenza degli uomini al tabagismo (fattore di rischio per contrarre l'infezione e per sviluppare un quadro clinico più grave della malattia) una più spiccata abitudine delle donne a dedicare uno spazio significativo della propria quotidianità all'igiene personale. L'Iss evidenzia anche le differenze tra donne e uomini quando si comincia ad entrare nei meccanismi alla base dell'infezione. Differenze che possono essere sia di tipo ormonale che genetico. Nelle donne in età fertile gli estrogeni sono in grado di aumentare la presenza del recettore ACE2 facendo sì che questo enzima, anche dopo l'infezione, riesca a svolgere la sua funzione di protezione, in particolare nei confronti dei polmoni. Viceversa gli ormoni androgeni sembra che svolgano un ruolo opposto nell'influenzare l'espressione di enzimi cellulari coinvolti nelle fasi che seguono l'attacco del virus al recettore, favorendo le fasi successive dell'infezione delle cellule polmonari.