Il coronavirus era già presente a Parma in un neonato il 26 febbraio. È quanto risulta da uno studio effettuato dall’Università di Parma e pubblicato su 'International journal of infectious diseases'. Prima firmataria, un medico calabrese: la cosentina Adriana Calderaro, direttrice della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia del suddetto ateneo.

Il campione di aspirato naso-faringeo, pervenuto nei laboratori di Virologia il 26 febbraio, è stato prelevato da un lattante di 7 settimane ricoverato nel reparto di Neonatologia. Il neonato è stato ricoverato per pochi giorni con febbre e mal di gola riferiti ad una generica affezione dell'apparato respiratorio, senza alcun sospetto che si potesse trattare di Covid-19. Lo sviluppo in coltura del virus è avvenuto dopo 10 giorni probabilmente anche a causa della bassa carica virale del campione originale.

È un risultato importante, perché dimostra che «la circolazione del nuovo virus nella popolazione pediatrica avveniva già prima dell'epidemia riconosciuta in città», a supporto del fatto che nei pazienti giovani, a maggior ragione se bambini, il Covid-19 si manifesta in modo lieve dunque non viene riconosciuto e «può avere una diffusione silente e subdola ad altri soggetti».

 

Lo studio condotto dalla professoressa Calderaro, in collaborazione con Flora De Conto e Maria Cristina Arcangeletti, ha evidenziato anche che l’esame colturale è il metodo di «maggiore sensibilità per la diagnosi virologica» poiché è «l'unico metodo diagnostico che consente di dimostrare l'infettività del virus». Solo tramite esso è stato possibile, infatti, isolare il virus nel neonato.

 

Una ricerca importante, dunque, di rilevanza internazionale, quella con a capo una mente eccelsa calabrese. I risultati infatti permetteranno di studiare meglio questo nuovo virus ed avviare analisi comparative con il virus isolato dalla popolazione adulta e pediatrica, sia in Italia sia all'estero.