Coronavirus: agricoltura e braccianti vittime della pandemia, ma la Regione latita

In Parlamento si discute di regolarizzare i lavoratori migranti per risolvere la crisi della filiera. Ma in Calabria si pensa ad altro. E intanto i rincari strozzano i consumatori

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di Alessia Candito
16 aprile 2020
17:18

La filiera agricola è in crisi, i braccianti soffrono la fame, i ghetti sono potenziali bombe sanitarie che in Parlamento si discute di svuotare e in Calabria si presume di risolvere tutto con un progettino di sessanta giorni.

A mesi dall’esplosione dell’emergenza Covid19, la Regione si ricorda chetanto nella Piana di Gioia Tauro, come nella Sibaritide ci sono ghetti e tendopoli dove da anni i braccianti sono costretti a vivere senza alcun tipo di servizi ed assistenza.


Soluzione? Finanziare per due mesi - con fondi vincolati Ue che da tempo sono stati destinati alle politiche di integrazione - le cliniche mobili con cui le associazioni di medici volontari fanno già da tempo un servizio di monitoraggio sanitario. Ovviamente, senza dotare gli operatori che lavoreranno sul territorio di tamponi, test sierologici o anche solo di protocolli condivisi con le Asp competenti per eventualmente gestire i casi di Covid19 e i cluster – le reti sociali prossime, come per esempio gli abitanti di una stessa tenda – di un contagiato.

Fanteria disarmata

Nonostante da mesi associazioni e sindacati si sgolino sulla necessità di svuotare ghetti e tendopoli – né più, né meno di assembramenti naturali vietati per decreto dall'8 marzo ma che in Calabria persistono sotto tende blu ministeriale – come unica misura per disinnescare potenziali bombe sanitarie, la Regione si limita a «attivare, con la massima urgenza, stante il carico di lavoro che investe le Asp in questo periodo, le azioni di progetto sopra elencate a supporto delle stesse Aziende e dei Servizi Sanitari territoriali, valorizzando, coordinando e potenziando le iniziative che in tal senso vengono rese sul posto a qualunque titolo da tutte le Associazioni».

Insomma, si manda in guerra la fanteria senza neanche cartucce.

Due mesi di visite

I fanti in questione sono l’associazione Coopisa, che dopo anni di esperienza nella gestione degli Sprar nei mesi scorsi ha iniziato un’attività di monitoraggio sanitario in tendopoli a San Ferdinando,Medu (Medici per i diritti umani), che nella Piana ci lavora da anni, e Intersos, che vanta esperienza nel campo in tutta Italia e a cui sarà affidata la zona di «Cassano allo Ionio, Sibari, Corigliano-Rossano e le loro zone limitrofe».

Da bando, per due mesi si dovranno occupare di contrastare l’emergenza Covid fra i braccianti senza avere i mezzi per farlo e soprattutto senza che la campagna di monitoraggio sanitario sia collegata ad una più ampia strategia di messa in sicurezza dei lavoratori costretti da anni a vivere in condizioni igienico-sanitarie quanto meno precarie.

Il dibattito nazionale che in Calabria non arriva

Il progetto è dell’assessorato “Lavoro e Politiche sociali” affidato al forzista Gianluca Gallo, che ha in mano anche la delega all’Agricoltura. Ma evidentemente l’eco del dibattito nazionale sulla necessità di regolarizzare la posizione dei braccianti stranieri in modo da permettere alla filiera agricola di ripartire non gli è arrivata all’orecchio.

Paradosso agricoltura: prodotti a marcire nei campi, braccianti alla fame

Da quando i decreti di lockdown hanno imposto come necessario uno straccio di impiego regolare per giustificare gli spostamenti, il settore agricolo – dove lavoro nero e grigio sono la regola in barba alle buone intenzioni anticaporalato rimaste sulla carta di leggi e protocolli – è andato in crisi.

Lavoratori che per decreto sono essenziali, in larga parte sono stati confinati nei ghetti e nelle tendopoli da cui – senza contratti né diritti – non possono uscire per cercare lavoro, magari a giornata. Risultato, chi da anni con la propria fatica assicura che frutta e ortaggi arrivino sui mercati e sugli scaffali soffre la fame, produttori piccoli e grandi hanno iniziato a gridare al disastro vedendo primizie e prodotti di stagioni marcire nei campi e sugli alberi perché mancano all’appello 270-350mila stagionali e i consumatori hanno iniziato a pagare il prezzo della crisi del settore.

E pagano i consumatori

Secondo alcune stime riportate da Repubblica le carote hanno raddoppiato il costo all'ingrosso dal giorno del primo contagio a Codogno, i cavolfiori sono schizzati del 58%, le melanzane del 20%, i broccoli del 90%, le arance del 20% i e limoni del 10%.

E se alcune grandi catene hanno avuto la decenza o l’accortezza di non alzare i prezzi anche alla luce del 10/15% in più di fatturato derivato dalla chiusura dei mercati, i rincari anche nel carrello pesano. E per Coldiretti, i prezzi di frutta e verdura sarebbero saliti a marzo a un tasso quaranta volte superiore rispetto al dato medio diffuso ieri dell'Istat. 

«Sulla base dei dati istat relativi all'inflazione a marzo si evidenziano al dettaglio nel carrello della spesa sulla frutta del 3,7%, con punte del 4% per le mele e del 4,1% per le patate, a fronte del dato medio sull'inflazione in discesa allo 0,1%», scrive l'associazione in una nota.

Bellanova: «Regolarizzazione necessaria»

È anche per questo che il ministro Teresa Bellanova oggi ha portato in Senato la discussione sulla regolarizzazione dei lavoratori in agricoltura su cui da giorni si ragiona. E che parte da un dato incontrovertibile «Sono 600mila, secondo le stime, gli irregolari stagionali nell'agricoltura che vengono spesso sfruttati e lavorano in Italia per quella criminalità che chiamiamo caporalato, che per me significa mafia. O è lo Stato a farsi carico della vita di queste persone o è la criminalità organizzata».

Le amnesie di Salvini

Il leader della Lega, Matteo Salvini, è presente in aula ma preferisce attaccare su Facebook secondo l’ormai trito «prima gli italiani». Un mezzo incidente diplomatico per il leader del Carroccio, che sembra dimenticare che fra i primi a lanciare l’allarme sulla mancanza di braccianti nei campi sia stata Coldiretti, notoriamente vicina a via Bellerio.

E che l’idea di utilizzare i voucher per i lavoro agricolo, proprio grazie ai suoi decreti sicurezza, non solo non consentirebbe ai braccianti di muoversi per l’Italia secondo il ciclo dei raccolti, ma neanche di spostarsi da Comune a Comune per andare al lavoro. O ancora, che quel sistema non consentirebbe di garantire le condizioni minime di stabilità abitativa dunque di sicurezza sanitaria che in tempi di pandemia dovrebbero costituire una priorità.

La Calabria latita

Dettagli che evidentemente sfuggono anche in Calabria dove, dopo aver collezionato una serie di scivoloni, rapide smentite ed epic fail proprio sulla tendopoli di San Ferdinando, il suo assessore e vicepresidente della giunta, Nino Spirlì, si limita a fargli eco rilanciando su Facebook post e interventi che gridano “prima gli italiani” fra una benedizione e un buon compleanno al Papa. E l’assessore all’Agricoltura, nonché alle politiche sociali, Gianluca Gallo? Al momento sul punto è non pervenuto.

Cure palliative o prevenzione?

«Eppure la soluzione sarebbe semplice – tuonano comitati, sportelli di assistenza e sindacati che lavorano nella Piana – garantire un lavoro regolare e soprattutto regolarmente retribuito, consentirebbe non solo di rendere visibili i tanti fantasmi delle campagne, ma anche di svuotare i ghetti perché metterebbe i braccianti in condizioni di affittare una casa».

Se questo processo si volesse agevolare poi, i fondi – sempre dell’Ue e sempre vincolati esattamente a politiche di integrazione – ci sarebbero, nell’ordine di oltre quattro milioni, da spendere entro il 2021, pena la restituzione a Bruxelles. Un tesoretto potenzialmente in mano a diversi assessorati ma che fino ad oggi si è preferito destinare alle cure palliative piuttosto che alla prevenzione.
In tempi di Covid19, in Calabria non va di moda.

 

Giornalista
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