La storia dei contadini calabresi è certamente anche la storia della Calabria. Dobbiamo a quella generazione dei primi decenni del ‘900, se la nostra terra è cresciuta, si è sviluppata, se i loro figli e nipoti hanno potuto studiare, migliorando le condizioni economiche e sociali. La terra, intesa come agricoltura, ha sfamato ed eliminato la povertà che aveva messo letteralmente in ginocchio la Calabria tra l‘800 e i primi decenni del ‘900, l’epoca della prima grande emigrazione verso le Americhe.
Ma i sacrifici di quella generazione sono stati durissimi. In questa splendida foto di Assunta Gullà c’è sua madre Francesca, classe 1939 e suo fratello Iconio, classe 1934, che prima faceva il mugnaio, seguito dal figlio che lo fa tutt’ora.
Siamo nella scorsa primavera, il periodo della raccolta delle fave a San Cono di Cessaniti (VV). Francesca ha vissuto per 40 anni lavorando la terra, facendo la contadina attivamente, giorno e notte, spesso sfruttata, costretta a fare lavori massacranti. Ma erano le condizioni di quasi tutti i contadini calabresi, considerato che i terreni agricoli erano per centinaia di ettari nelle mani di pochi, potenti latifondisti. Si è dovuto attendere fino alla fine degli anni ‘50 del ‘900 per vedere lentamente assegnata la terra ai contadini, come aveva deciso agli inizi del decennio il governo De Gasperi e in particolare il ministro dell’Agricoltura, il calabrese Luigi Gullo.

La foto con i fratelli Francesca e Iconio esprime una particolare serenità. Per i due anziani contadini sono ormai un ricordo i decenni passati a sudare un pezzo di pane per la famiglia. Tempi che ora raccontano con un certo distacco, ma non con freddezza. La salute ora è malferma, muoversi non è facile, ma l’istinto e il cuore li portano verso la terra, che per loro è stata come una madre. Francesca ama sentire il profumo della terra, e se fosse possibile sarebbe felice di andare sui campi a lavorare.
Un anonimo ha scritto alcuni versi di straordinaria potenza sui contadini:
“E tu, non ti vergogni di esser contadino?
-Vergognarmi io? Ma vergognatevi voi. Se a tavola abbonda pane e vino a queste mie mani ringraziar dovete.
È vero, son cotte dal sole, nere e callose,
ma portano il vanto di mani operose,
lavorano sempre e mai sono stanche
valgono più di dieci mani bianche”.