Beni per 7 milioni sono stati condiscati a Roberto Morgante, 60 anni, di Villa San Giovanni, imprenditore nel settore edilizio ed attualmente sottoposto a regime detentivo considerato vicino alle cosche. L'operazione eseguita dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della Procura.

 

Già sottoposto alla misura dell’avviso orale nel 1993 dal Questore di Reggio Calabria, nel 2014, Morgante unitamente ad altri 39 soggetti, era stato raggiunto dalla misura di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Tibet”.

Dalle indagini era emerso che Morgante agiva quale rappresentante e collettore di risorse economiche di cosche operative sul territorio di Reggio Calabria, coinvolte nelle lucrose attività delittuose a sfondo finanziario gestite in Lombardia e, segnatamente nel cosiddetto “locale” di Desio (MB), dalla cosca di ‘ndrangheta allora capeggiata da Giuseppe Pensabene. Morgante era risultato agire quale finanziatore e, quindi, compartecipe alle iniziative finanziarie illecite che la consorteria milanese perpetrava su quel territorio, soprattutto di natura usuraia. È stato condannato, in primo grado, dal gup di Milano nel giugno 2015 per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa alla pena di 6 anni e 10 mesi di reclusione e con la confisca di numerosi beni. La sentenza, nel luglio 2016, veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano. Nel settembre 2017, la Corte di Cassazione, pur annullando con rinvio limitatamente alla confisca dei beni, confermava la responsabilità penale.

 

 

Morgante rappresenerebbe - si legge nella nota - "la figura dell’imprenditore “colluso” con la criminalità organizzata….ossia dell’imprenditore che entra in un rapporto sinallagmatico con l’associazione mafiosa tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti…”.

Riguardo la parte patrimoniale, il Tribunale, ha ritenuto che il suo patrimonio e dei suoi stretti congiunti “debba ritenersi il frutto o il reimpiego di proventi di attività illecite in quanto direttamente ricollegabile (anche quale reinvestimento) alla accertata e risalente pericolosità sociale qualificata del Morgante, strettamente connessa alla sua attività imprenditoriale, e mai venuta meno…”.

 

Per il Tribunale, inoltre, le sue imprese sono ascrivibili nel genus dell’impresa mafiosa conseguendone che, il successo imprenditoriale, sia da attribuirsi al pesante condizionamento esercitato nel territorio di riferimento dalla ‘ndrangheta, che, attraverso il metodo mafioso, gli ha assicurato illecitamente una posizione di preminenza sul mercato.

I beni confiscati

Complessivamente, disposta la confisca di attività aziendali e di numerosi beni personali, già sottoposti a sequestro di prevenzione nel marzo del 2018. 
Nel dettaglio sono stati interessati dalla confisca: 4 società operanti nel settore edilizio e del commercio all’ingrosso e dettaglio di articoli per impianti idro-termo-sanitari;  26 immobili ad uso personale ed aziendale, siti a Reggio Calabria e Villa San Giovanni;  numerosi e consistenti conti correnti personali ed aziendali, polizze e dossier titoli per un valore di circa 2,6 milioni di euro.
Il valore complessivo dei beni sottoposti a confisca ammonta a circa 7 milioni di euro.