La condanna, anche per fatti gravi, non rende necessariamente socialmente pericoloso il condannato. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Reggio Calabria che ha definitivamente escluso l’applicazione della sorveglianza speciale nei confronti di Domenico Giampaolo. L’uomo, difeso dall’avvocato Pier Paolo Emanuele, era rimasto coinvolto nell’operazione "Colombiani d’Aspromonte" che portò all'arresto di 42 persone accusate di traffico di droga, ma la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio le misure di prevenzione.

 

Quanto sancito adesso dalla Corte d’Appello, dopo una complessa vicenda processuale, ribadisce - secondo la difesa - un importante principio: l’autonomia tra processo penale e misure di prevenzione. Nonostante la condanna ormai definitiva di Giampaolo, accogliendo il ricorso proposto dall’avvocato Emanuele, la Corte di Cassazione aveva stabilito che una condanna per un fatto di reato, anche se grave, ma che ha avuto una durata circoscritta nel tempo, non rende automaticamente l’autore del reato stesso anche e necessariamente un soggetto socialmente pericoloso, al punto da meritare una misura di prevenzione personale.

 

La cosiddetta ‘pericolosità generica’, infatti, implica abitualità delinquenziale nonché attualità della pericolosità sociale dell’autore di un reato. Tali condizioni sono state escluse nel caso di specie sia dalla Suprema Corte che, adesso, dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, per cui la pericolosità sociale di Gianpaolo Domenico è stata definitivamente esclusa.