Quello dei concorsi pilotati è solo un pezzo dell’indagine che ha travolto stamattina l’università Mediterranea di Reggio Calabria. Nell’imponente inchiesta della guardia di finanza, infatti, viene portato all’attenzione dell’autorità giudiziaria l'esistenza di un vero e proprio sistema, una presunta gestione personalistica dell’ateneo dello stretto, dove insieme alla designazione a tavolino dei vincitori dei concorsi si troverebbe molto di più.

È bene mettere in evidenza un dato molto importante: l’inchiesta parte dalla denuncia di una candidata ricercatrice, Clara Stella Vicari Aversa, che, come si evidenzia nelle carte, sarebbe stata scartata pur avendo i titoli per vincere il concorso. E nonostante i ricorsi favorevoli vinti a Tar della Calabria, si sarebbe trovata davanti un muro di gomma all’interno dell’università, che avrebbe addirittura cambiato i parametri pur di non farla vincere. «Ritira il ricorso e aspetta il tuo turno» le avrebbero risposto dalla Mediterranea.

Nella bufera giudiziaria sono finiti il rettore Santo Marcello Zimbone; il suo predecessore, Pasquale Catanoso, attuale prorettore vicario; Ottavio Salvatore Amaro, professore associato del Dipartimento di architettura ed ex direttore generale dell'ateneo; Adolfo Santini, direttore del Dipartimento di architettura; Massimiliano Ferrara, direttore del Dipartimento di giurisprudenza, economia e scienze umane; Antonino Mazza Laboccetta, professore associato dello stesso Dipartimento di giurisprudenza; i due funzionari dell'Area tecnico-scientifica elaborazione dati dell'università, Alessandro Taverriti e Rosario Russo.

Partendo da quella denuncia dell’aspirante ricercatrice, gli investigatori delle Fiamme gialle avrebbero scoperchiato un vaso di Pandora. Non solo esami pilotati, ma molto altro. L’ipotesi investigativa, avvalorata dal gip distrettuale, parla di un’associazione a delinquere che avrebbe come vertice l’ex rettore Catanoso e il suo successore Zimbone alla guida dell’ateneo reggino, legati secondo l’accusa da una continuità nel metodo di gestione dell’università. L’inchiesta, infatti, abbraccia l’arco temporale che va dal 2014 al 2020 con una sorta di passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo rettore. Le accuse sono pesantissime.

Oltre all'associazione, infatti, agli indagati sono contestati anche concussione, corruzione, abuso d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e peculato.

Un’associazione che sarebbe stata contrassegnata dalla realizzazione di plurimi reati con un vertice che avrebbe fatto capo al rettore e una sorta di struttura su cui appoggiarsi con incarichi ben precisi.

L’associazione, secondo l’ipotesi dell’accusa, avrebbe agito su tutti i ruoli concorsuali: non si parla di una singola nomina, ma di una struttura con commissioni compiacenti che avrebbero deciso a tavolino chi doveva vincere. Le procedure comparative e concorsuali riguardavano indistintamente le posizioni di ricercatori, di professori ordinari e associati, di assegnisti di ricerca nonché le selezioni per l’accesso ai dottorati di ricerca e ai corsi di specializzazione.

L’inchiesta, però, è andata oltre. Le indagini, infatti, avrebbero consentito di verificare altri presunti illeciti: l'utilizzo sistematico e personalistico dei beni dell’università: automobili, carta di credito dell’ateneo per acquisti di beni personali: cene, viaggi e altro. Fino a scoprire anche la concessione di servizi che non avrebbero rispettato la normativa sugli appalti.

Una ipotesi accusatoria che ha portato la procura a chiedere e a ottenere l'interdizione di tutti gli indagati dalle loro funzioni