Il boss cetrarese Franco Muto non ha mai imposto l'acquisto del pesce dal genero Andrea Orsino, titolare della Eurofish, i ristoratori erano liberi di recarsi presso l'azienda di ingrosso del pesce fresco e congelato e scegliere i prodotti da acquistare, addirittura potevano anche rifiutare l'acquisto quando gli addetti a bordo dei furgoni targati Eurofish si recavano direttamente presso gli esercizi commerciali per proporre la vendita dei prodotti. Insomma, re del pesce, sì, ma grazie alla qualità del pescato e del servizio offerto, non di certo per costrizioni o minacce. È il riassunto delle testimonianze dei commercianti della costa tirrenica, per lo più ristoratori, che due giorni fa sono state rese ai magistrati del tribunale di Paola durante l'ennesima udienza del processo Frontiera, che da qualche si è concentrata sulle deposizioni della difesa.

L'inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, scattata all'alba del 19 luglio 2016, portò all'arresto del capobastone 78enne e del figlio Luigi, erede designato della cosca, oggi entrambi detenuti in regime di 41bis, nonché alla detenzione della figlia Mary, detta Mara, e del genero Andrea Orsino.

 

Testimonianze in bilico

Le recenti dichiarazioni sembrano stridere con i racconti di cronaca riguardanti l'intero territorio dell'alto Tirreno degli ultimi vent'anni. In più occasioni, infatti, le inchieste giudiziarie e giornalistiche avevano dimostrato come i commercianti della costa erano costretti ad acquistare il pesce nell'azienda della famiglia Muto e a subire silenziosamente l'imposizione del prezzo d'acquisto, data la totale mancanza di concorrenza.

Il mercato ittico era prettamente affare dei Muto, tanto che in un'altra inchiesta del 2006 denominata Azimuth, la magistratura contestò alle istituzioni di non aver mai provato a spezzare quella catena di soprusi, magari offrendo a commercianti e pescatori una valida alternativa tramite la regolamentazione del commercio del pesce.

 

Il mercato ittico

Fu così che nacque il mercato ittico al porto, una struttura di pochi metri quadrati, ma assai "ingombrante" per il clan e soprattutto per la gente del posto. L'intenzione era quella di affidare la gestione del pescato tramite bando pubblico, a persone immacolate. Ma a distanza di tre anni dal primo bando comunale, nessuno ha mai presentato domanda, fatta eccezione per una cooperativa di pescatori, è stata raggiunta da interdittiva antimafia. Secondo la magistratura, tra i componenti dell'associazione si celavano persone vicine al clan, tanto vicine da lasciar pensare che fossero soltanto dei prestanomi.