VIDEO | Il bimbo è affetto da una malattia di Krabbe che in poche settimane lo ha privato della vista e della mobilità. L'unica speranza di fermare il decorso della malattia è un trapianto di cellule staminali
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«Bisogna fare in fretta, perché sta peggiorando tantissimo. Dobbiamo cercare di salvargli la vita». Katia è una nonna affranta. Il suo nipotino Gabriele, 4 anni appena, da qualche mese lotta contro il tempo per salvarsi da una malattia che suona come una condanna: malattia di Krabbe, una forma rara di leucodistrofia, degenerativa, che consuma la guaina mielinica degli assoni del sistema nervoso centrale con conseguenze devastanti, per cui non esiste cura. Talvolta è letale, non lascia scampo chi ne è affetto. Ma questo non è e non deve essere il caso di Gabriele, perché per lui, dicono i medici, c'è ancora una flebile speranza. Il piccolo paziente potrebbe salvarsi, o comunque continuare a vivere una vita dignitosa, grazie a un trapianto di cellule staminali.
«Cerchiamo disperatamente un donatore di midollo osseo compatibile», dice nonna Katia, che attraverso i nostri microfoni cerca di mettere uno sgambetto al destino beffardo e avviare la macchina degli aiuti.
L'origine del dramma
Gabriele è il primo figlio di una giovane coppia, che con la sua nascita porta in famiglia una ventata di felicità. Il piccolo è apparentemente sano, ha due occhi scuri, vispi e furbi, che incantano. D'estate trascorre le sue vacanze in Calabria, terra natìa della madre e posto del cuore dei suoi nonni, dove vivono. Al piccolo, in particolare, piace sfrecciare per ore su un triciclo di fronte al Mar Tirreno. Dopo un po' la famiglia s'allarga e la felicità raddoppia. Ma dopo la nascita del fratellino, da bambino allegra e radioso, Gabriele diventa nervoso e irascibile. Tutti pensano a un po' di gelosia per il nuovo arrivato. Ancora nessuno sa che quello è il primo campanello d'allarme della malattia. Le preoccupazioni arrivano quando Gabriele comincia a sentirsi sempre stanco e privo di energia, e comincia ad avere anche problemi alla vista. Nel giro di poche settimane la situazione precipita e il piccolo fatica a distinguere gli oggetti. I medici lo sottopongono a tutte le visite del caso; gli esiti escludono qualsivoglia forma di tumore ma non bastano a dare un nome al dramma che sta vivendo la sua famiglia. Fino a un giorno del giugno scorso in cui i genitori, esasperati, varcano la soglia d'ingresso all'ospedale Bambin Gesù di Roma. Qui, la diagnosi arriva in cinque giorni: malattia di Krabbe, una malattia genetica rara da cui non si torna indietro e per cui, purtroppo, non esiste cura.
La speranza
Ma i medici del Bambin Gesù, nonostante la situazione difficile, lasciano aperta la porta della speranza. Gabriele non potrà mai guarire né recuperare la vista, ma c'è una piccola percentuale di possibilità che il decorso della malattia, con un pizzico di fortuna, si possa fermare. Per farlo occorre un trapianto di cellule staminali emopoietiche prodotte dal midollo osseo e pertanto occorre un donatore sano e compatibile. Ma bisogna trovarlo in fretta, molto in fretta. La malattia evolve a ritmi forsennati. Nel giro di pochi giorni Gabriele diventa quasi cieco e smette di camminare.
La disperata ricerca di un donatore
Al momento, nelle banche dati disponibili, nessun profilo genetico è compatibile con quello del piccolo Gabriele e, tra l'altro, dopo la pandemia, il numero di donatori in Italia è drasticamente diminuito. Eppure l'iter prevede pochi, semplici passaggi. Dapprima si effettua un semplicissimo prelievo di sangue, a cui si possono sottoporre i cittadini dai 18 ai 35 anni di età, da cui poi si traccia il profilo genetico. Solo successivamente, e solo in caso di compatibilità, si viene chiamati per effettuare la donazione del midollo osseo. Questa avviene tramite due procedure: quella un po' più invasiva, che conduce in sala operatoria, si effettua con un prelievo dall'osso del bacino; la seconda, prevede un prelievo di sangue a cui il donatore si sottopone per alcune ore. Gli effetti "avversi" sono i sintomi di una influenza che si protraggono per non più di qualche giorno. Alla luce di ciò, la famiglia ha deciso di lanciare un appello pubblico. «Ci tengo a precisare una cosa - spiega la sua nonna -. Chi va a donare il sangue non lo fa per Gabriele, nel senso che non si può decidere a chi donare. Ma ovviamente, più persone donano il proprio sangue, più è alta la possibilità di trovare un donatore compatibile anche per lui». Andare a donare il proprio sangue, è un atto di generosità e umanità che può salvare migliaia di vite. Proprio come Gabriele, in tutto il mondo ci sono tanti altri bambini, ma anche giovani o adulti, in attesa di un trapianto di midollo osseo che potrebbe salvare le loro vite. Chi può farlo, non aspetti altro tempo.