La denuncia del Sinappe per il continuo ripetersi di fatti violenti. Busà: «Ci chiediamo perché nei penitenziari italiani sia ancora consentito l’acquisto di alcolici»
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Un detenuto in escandescenza, forse dovuta ai fumi dell’alcol ha aggredito il suo compagno di cella ma è stato un agente della penitenziaria ad avere la peggio, finendo in ospedale. Si tratta dell’ennesimo episodio di violenza che si è consumato nel carcere di Catanzaro. A denunciarlo, ancora una volta, il vice segretario regionale del sindacato Sinappe, Cristina Busà.
«Sembra non avere fine l’incubo vissuto nella casa circondariale di Catanzaro. Anche oggi – afferma Busà – l’ennesima aggressione. Solo poche ore addietro un detenuto del circuito media sicurezza, alterato dall’uso di alcool, ha aggredito il proprio compagno di stanza che non ha riportato traumi unicamente grazie all’intervento della Polizia penitenziaria. Nonostante il personale del corpo di Polizia penitenziaria avesse da subito tentato di contenere la violenza dell’uomo. Con una opera di mediazione, il rinchiuso non ha tardato a reagire dapprima proferendo loro minacce e insulti – spiega la sindacalista – e di seguito aggredendo il personale intervenuto. Il detenuto protagonista dei fatti non è nuovo all’uso di alcool e a conseguenti azioni violente, tuttavia, anche questa volta, ad avere la peggio è stato un poliziotto penitenziario che aggredito e spinto violentemente contro una branda in ferro è stato accompagnato al pronto soccorso dell’ospedale cittadino a causa delle diverse ferite riportate agli arti e del trauma alla spalla, al gomito e al collo, poi dimesso con una prognosi iniziale di 15 giorni e l’indicazione di eseguire ulteriori esami diagnostici».
Il personale, spiega Busà «è stanco per ciò che è costretto a subire, e bisognerebbe comprendere che il garantismo attuato nei confronti dei detenuti non è una soluzione di gestione e indubbiamente pone il personale di Polizia penitenziaria in situazioni di profondo rischio».
Escalation di aggressioni
«Continuiamo ad assistere ad una escalation di aggressioni e di violenza che hanno ripercussioni fisiche e psicologiche sugli uomini e le donne della Polizia penitenziaria che, ormai stanchi e demoralizzati – prosegue il vice segretario regionale del Sinappe – come all’interno di un labirinto non vedono più la luce in fondo al tunne. Ci chiediamo perché, nonostante la massiccia presenza di detenuti con problematiche psichiatriche che fanno uso di terapie farmacologiche e detenuti che hanno commesso reati violenti per crimini conseguenti all’uso di alcool, nei penitenziari italiani sia ancora consentito l’acquisto di birra e/o vino, che seppur limitato è causa di accumuli e scambi. Siamo consapevoli che spesso le bevande alcooliche in carcere sono autoprodotte, ma ciò non esclude responsabilità nei confronti di chi non si adopera nella tutela del personale. Il malessere e il disagio lavorativo hanno ormai pervaso gli animi, il personale è stanco di dover mettere a repentaglio la propria vita senza che vi sia la volontà di individuare soluzioni che diano concretezza a quanto si continua a sentire sul sistema carcere – Cristina Busà –. La situazione è ormai insostenibile. Al collega vittima di tale violenza va tutta la nostra solidarietà e un sincero augurio di pronta guarigione».