«Apprendiamo dagli organi di informazione, con stupore e sconcerto, che è stata già fissata, nel prossimo mese di marzo, l’udienza davanti al Tribunale di Catanzaro per l’esame dell’appello presentato dall’Ufficio di Procura avverso l’ordinanza che ha allentato i vincoli cautelari all’avvocato Giancarlo Pittelli (coinvolto nel maxi-processo Rinascita-Scott». Inizia così la lettera iniviata questa mattina dalla Camera penale di Catanzaro al presidente della seconda sezione penale e al presidente del Tribunale di Catanzaro. 

 

La lettera firmata dal presidente della Camera Penale, Valerio Murgano, e dal segretario, Francesco Iacopino così prosegue: «Non entriamo, chiaramente, nella scelta del requirente di opporsi alla decisione del Tribunale di Vibo, avente ad oggetto la sostituzione della custodia cautelare in carcere (già lungamente patita, a più riprese, dall’avvocato, incensurato, settantenne e ammalato) con la misura degli arresti domiciliari, sebbene l’ennesima determinazione di impugnare l’ordinanza del Collegio vibonese, ad opera dell’organo d’accusa, si ponga nel solco di una ipertrofia cautelare che caratterizza il nostro distretto, difficilmente contestabile».

 

E ancora: «Ciò che ci sorprende e ci allarma, invece, è la tempistica inusuale adottata dal Tribunale nella gestione della relativa vicenda incidentale. Giancarlo Pittelli è stato “scarcerato” a metà febbraio. Dunque, anche a voler ritenere “immediata” la presentazione del gravame da parte del Pm, il decreto di fissazione dell’udienza risulta emesso - eccezionalmente - nei 10 giorni dal deposito dell’appello e la relativa trattazione fissata insolitamente nei 20 giorni successivi.

Si tratta - si fa presente - di una tempistica totalmente disallineata rispetto ai ritmi di lavoro ai quali il Tribunale ci ha abituati. È noto, infatti, agli addetti ai lavori e alle persone in vinculis in attesa di giudizio, che gli appelli cautelari presentati dai difensori sono soggetti a intervalli temporali – quanto alla fissazione delle udienze per la trattazione dei relativi ricorsi (senza considerare, poi, le ulteriori tempistiche per la decisione, a volte superiore ai due mesi) – di molto più dilatati».

 

«Ad oggi, risultano in attesa di fissazione appelli delle difese – si badi, in favore di soggetti sottoposti alla misura di massimo rigore – presentati a settembre 2021 e, dunque, pendenti da oltre sei mesi. Detta corsia preferenziale per gli appelli del requirente, allora, che la vicenda Pittelli ha portato in emersione, provoca - viene specificato- disorientamento e stupore. E ciò, vieppiù se, come crediamo (e vogliamo crederlo), non si tratti di un’accelerazione impressa in peius solo nei confronti del predetto giudicabile, ma un modus operandi nella selezione delle pratiche da “scrutinare”.

Se in materia di libertà il ritardo nelle risposte alle molte domande di giustizia è “giustificato” dalle carenze di organico più volte denunciate – o, com’è più corretto rilevare, dagli squilibri esistenti tra l’organico d’accusa, quasi al completo, e quello dell’Ufficio Gip e del Riesame, quasi al collasso, con tutti gli inevitabili riflessi sulla qualità del prodotto finale – non è dato comprendere, allora, come sia possibile – in un settore nel quale l’esigenza primaria è quella di adeguare lo status libertatis agli sviluppi del procedimento, nel rispetto del principio del minor sacrificio possibile – registrare una corsia preferenziale per le impugnazioni del pubblico ministero, rispetto a quelle delle difese».

 

Il direttivo ribadisce: «Tale distorsione dimostra, ancora una volta, che è compromessa la regola della parità delle parti e che anche il sistema organizzativo è gravemente sbilanciato sulle esigenze di difesa sociale, con speculare subvalenza dei diritti di libertà individuale. Un sistema che contrasta con la cornice di garanzie disegnata dalla Costituzione, nella quale l’incolpato è assistito dalla presunzione d’innocenza e il diritto penale è concepito come limite al potere coercitivo dello Stato.

 

Oggi, al contrario, siamo sempre più costretti a registrare un cambio di passo culturale, anche interno alla giurisdizione, nel quale la leva del penale è utilizzata quale meccanismo regolatore dei fenomeni sociali, col corollario che spesso, troppo spesso, gli imputati –specie quelli che finiscono nella ‘rete’ di processi alimentati dall’amplificazione mediatica – rischiano di diventare, loro malgrado, obiettivi di un diritto penale di lotta che trascende le finalità del processo. È l’antitesi della concezione liberale del diritto penale, sulla quale sono stati edificati i principi della nostra civiltà giuridica, in difesa dei quali si impone, oggi, una moderna lotta per il diritto». 

 

Pertanto: «la Camera Penale di Catanzaro, nel rivendicare l’irrinunciabilità dello statuto di garanzie che regola la materia penale, intende sottoporre all’attenzione delle loro Signorie e a tutti gli attori della giurisdizione la singolarità della vicenda segnalata, con l’auspicio che, da un lato, sia offerta pubblicamente risposta all’evidente disparità di trattamento esistente tra le sorti delle impugnazioni cautelari difensive e quelle dell’accusa e, dall’altro, si colga l’occasione per stabilire regole certe sulla tempistica delle impugnazioni cautelari, nel rispetto della parità delle parti. Oggi più che mai- conclude il documento - appare necessario capire le ragioni per le quali accusa e difesa usufruiscono di regimi differenziati, in perfetta antitesi con i principi regolatori del diritto penale liberale e del giusto processo».