VIDEO-NOMI | Avrebbero reclutato lavoratori extracomunitari a basso costo approfittando del loro stato di estremo bisogno. Sequestrata un'azienda agricola
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Sono nove gli arresti (tre in carcere e sei ai domiciliari) eseguiti questa mattina nell'ambito di un'operazione della Polizia, coordinata dalla Procura di Palmi e denominata Rasoterra. Destinatari persone della Piana di Gioia Tauro ritenuti responsabili, a vario titolo - in qualità di datori di lavoro, caporali e faccendieri - di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e intestazione fittizia di beni per episodi legati al fenomeno del caporalato verificatisi nella Piana di Gioia Tauro tra giugno 2018 e giugno 2019.
Gli investigatori della Squadra mobile e del Commissariato di Gioia Tauro, insieme alla Squadra mobile di Caserta e gli equipaggi del Reparto prevenzione crimine, stanno eseguendo anche perquisizioni domiciliari a carico degli indagati. Sequestrata anche un’azienda agricola. Impiegati 80 uomini e donne della Polizia di Stato.
Gli arrestati
- Filippo Raso, nato a Taurianova il 01.06.1969, detenuto per altra causa [custodia cautelare in carcere];
- Ibrahim Ngom, nato in Senegal il 01.03.1980, domiciliato a San Ferdinando [RC], [custodia cautelare in carcere];
- Pasquale Raso, nato a Cinquefrondi il 07.02.2001, domiciliato a Rizziconi [RC][arresti domiciliari];
- Mario Montarello, nato a Rizziconi il 31.01.1965, ivi residente [arresti domiciliari];
- Giacomo Mamone, nato a Cinquefrondi il 14.11.1986, residente a Rizziconi [RC] [arresti domiciliari];
- Francesco Calogero, nato a Rizziconi il 25.03.1955, ivi residente [arresti domiciliari];
- Domenico Careri, nato a Rosarno il 02.08.1956, residente in Rizziconi [RC] [arresti domiciliari];
- Kader Karfo, nato in Costa d’Avorio il 01.01.1979, residente a Napoli [custodia cautelare in carcere];
- Vincenzo Straputicari, nato a Taurianova il 13.05.1980, residente a Rizziconi [arresti domiciliari].
Le indagini
Le indagini - condotte dal Commissariato di Gioia Tauro e dalla Squadra mobile di Reggio Calabria dal mese di giugno 2018 al mese di giugno 2019 sotto la direzione della Procura di Palmi - hanno consentito di far luce su alcune vicende di grave sfruttamento lavorativo nelle campagne di Gioia Tauro di numerosi migranti di origini subsahariana alloggiati nella baraccopoli di San Ferdinando, prima che venisse smantellata nelle giornate del 6 e 7 marzo 2019.
Dalle attività di controllo delle aziende e delle colture agrumicole in cui gli immigrati venivano impiegati come braccianti, dalle audizioni dei lavoratori sottoposti a sfruttamento e infine dalle operazioni di intercettazioni telefoniche condotte dagli Uffici operanti della Polizia di Stato, è emerso un contesto di rilievo criminale caratterizzato dal continuo verificarsi di condotte delittuose poste in essere da diversi soggetti della Piana di Gioia Tauro (datori di lavoro, caporali e faccendieri) consistenti quasi sempre nel reclutamento, utilizzo, assunzione e impiego dei lavoratori extracomunitari a basso costo, allo scopo di destinarli al lavoro nei campi in condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno.
Ogni anno, da settembre a marzo e nel pieno della stagione agrumicola, giungono nella Piana di Gioia Tauro, specialmente nelle aree comprese tra Rosarno, Rizziconi e San Ferdinando, moltissimi migranti di origine centrafricana in cerca di lavoro come braccianti e vanno a popolare, in mancanza di diversa sistemazione alloggiativa, siti di fortuna, com’era da considerarsi la ex baraccopoli di San Ferdinando.
Il ruolo di Filippo Raso
L’inchiesta ha portato alla luce elementi probatori chiari in merito alla sussistenza di un sistema organizzato di sfruttamento nel lavoro dei campi di numerosi immigrati africani che faceva capo principalmente a Filippo Raso, soggetto considerato di elevata caratura criminale riconducibile all’alleanza di ‘ndrangheta, un tempo esistente, Piromalli-Molè, nonché dominus effettivo dell’azienda agricola intestata alla figlia in cui lavoravano i migranti in condizioni di sfruttamento, che teneva continui contatti con i caporali e i faccendieri che operavano al suo servizio, impartendo loro direttive. Filippo Raso è gravemente indiziato di essere stato a capo di tale sistema, imponendo comportamenti e fornendo direttive, minacciando e punendo chi non eseguiva i suoi ordini, ben sapendo di essere temuto ed ossequiato e di potersi avvalere di una strutturata rete di collaboratori per realizzare i suoi obiettivi.
Il caporale che gestiva per conto di Raso
Ngom Ibrahim detto Rasta, era un caporale che gestiva per conto di Filippo Raso i lavoratori extracomunitari, si occupava di reclutare i braccianti africani e di controllarne il lavoro. Kader Karfo detto Cafù era un altro fidato caporale di Raso. A lui era demandato il pagamento delle giornate di lavoro dei singoli operai di colore che erano impiegati nella raccolta degli agrumi, nonché il compito di guidare i furgoni a bordo dei quali venivano condotti i lavoratori nei campi.
Il faccendiere e il ruolo degli altri indagati
Mario Montarello era un fedele faccendiere di Filippo Raso e svolgeva l’importante ruolo di tenere i contatti con i caporali e controllare il lavoro degli extracomunitari. Carreri Domenico era un altro referente di Filippo Raso, per conto del quale reclutava manodopera, che talvolta provvedeva egli stesso a trasportare. Francesco Calogero, titolare di un’azienda agricolain stretto contatto con Filippo, Raso si occupava di veicolare le direttive di Raso e dell’impiego di extracomunitari in condizioni di sfruttamento.
Pasquale Raso affiancava il padre Filippo nei rapporti con i caporali, sia da minorenne sia dopo aver raggiunto la maggiore età. Oltre ad essere uno dei principali referenti del padre, dava direttive al caporale Rasta e pagava - a volte personalmente - i caporali e i lavoratori. Giacomo Mamone aveva il compito di fornire i mezzi per il trasporto dei lavoratori extracomunitari - per questo fine era in rapporto con il caporale Rasta - e curava la raccolta dei frutti. Sraputicari Vincenzo, non collegato con Raso Filippo, era in contatto con Rasta cheper reclutava per suo contolavoratori extracomunitari che lo stesso Straputicari impiegava nelle campagne della Piana di Gioia Tauro.
Filippo Raso risponde anche del delitto di intestazione fittizia di beni (in concorso con la figlia indagata a piede libero) atteso che dalle indagini è emerso che l’azienda agricola intestata a quest’ultimaera stata creata ad hoc per consentirgli di esercitare l’attività di impresa senza attribuirsi formalmente la titolarità della stessa. Egli invero èstato condannato per associazione mafiosa, è stato sottoposto alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno del comune di residenza ed è stato destinatario della misura di prevenzione della confisca. Non poteva pertanto essere proprietario formale di un’azienda agricola che certamente gli sarebbe stata sequestrata.