VIDEO | I familiari dell'uomo scomparso da Laureana sono stati avvisati dai carabinieri ma non hanno potuto vedere il corpo. Ora tramite l'avvocato Ceravolo si rivolgono alla Procura: «Vogliamo sapere come è morto e perché non siamo stati avvisati prima»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
I familiari di Pasquale Dimasi, l’uomo di cui non si hanno più notizie dal luglio dello scorso anno – e del quale si sospetta possa essere la salma anonima custodita nell’obitorio dell’ospedale di Reggio Calabria – si appellano alla Procura affinché faccia piena luce sul caso. Adriana, sorella del 55enne di Laureana di Borrello, si è rivolta all’avvocato Domenico Ceravolo che sta preparando una memoria su quello che definisce «un caso assai singolare, perché non è possibile che un uomo passi dalla guardia medica e da due ospedali per poi morire senza essere identificato correttamente in tutto questo tempo».
I parenti non sono stati ancora chiamati a riconoscere i resti che si trovano in una cella frigorifero del Gom, ma il cognato di Dimasi, Giuseppe Nasso, spiega che «il primo luglio sono stato convocato dai carabinieri che mi rivelavano il sospetto che possa essere Pasquale l’uomo morto dopo il ricovero e 3 mesi di coma, ma mi hanno detto che sono ancora in attesa dei risultati dei test sul dna».
Proprio questa circostanza, ovvero che si stia procedendo senza formale riconoscimento del cadavere, secondo Ceravolo aggiunge un interrogativo in più che autorizza i familiari a rivolgersi alla procura di Palmi. «Se fosse Dimasi – commenta il legale – loro hanno diritto di sapere come e quando è morto, e anche di conoscere i particolari che forse rendono irriconoscibile il cadavere».
Dunque sono trascorsi altri 2 mesi infruttuosamente da quando la famiglia è stata allertata, aggiungendo un disagio che fa vivere i Dimasi in una sorta di sospensione prolungata e dolorosa. Ancora nessun manifesto e nel cimitero nessuna tomba su cui portare un fiore. Nessun funerale per ora, entrano in scena le carte bollate anche rispetto all’appendice paradossale che il nostro Network aveva scoperto nei giorni scorsi, ovvero che tra le cause del ritardo di questo riconoscimento ci potrebbe essere anche un difetto di comunicazione tra gli uffici dell’anagrafe di Reggio Calabria e del centro della Piana, con gli impiegati del capoluogo che chiedevano ai colleghi informazioni su Dimasi fornendo però una data di nascita sbagliata.
«Abbiamo denunciato immediatamente – conclude Adriana Dimasi – e chiedevamo di continuo informazioni, ricevendo risposte tranquillizzanti, ovvero che le ricerche continuavano. Ora da un lato vorrei che quel cadavere fosse di mio fratello, per avere un posto dove andarlo a piangere, dall’altro coltivo la speranza che non sia lui in modo da non ripetere sofferenze che la mia famiglia ha già patito in passato».