Carichi di batterie per auto da smaltire che partono dal Cosentino e vengono interrati in modo illecito a Marcianise, in provincia di Caserta. È il sospetto che emerge da un’informativa del febbraio 2020 allegata agli atti dell’ultima inchiesta della Dda di Catanzaro sulle cosche locali. È la guardia di finanza ad affrontare il tema rifiuti speciali e dintorni, business molto remunerativo che attira spesso gli interessi del crimine organizzato. E Cosenza, a quanto pare, non fa eccezione alla regola.

Il monopolio dei nomadi

Secondo gli investigatori, infatti, «monopolista nel settore» nella città dei bruzi è il locale clan degli zingari, ma a partire dal 2019 all’affare avrebbe cominciato a interessarsi anche la cosca degli italiani. Tutto merito, anzi colpa, di un imprenditore cosentino che in quel periodo tenta di coinvolgere sia Mario Piromallo che Roberto Porcaro, due fra i principali gerarchi della confederazione guidata da Francesco Patitucci. L’uomo è in possesso della licenza che gli consente di svolgere regolarmente l’attività, ma è alla disperata ricerca di soci perché a fronte di un investimento iniziale di duecentomila euro, solo una persona ha risposto all’appello versandone sessantamila. E al resto della somma ha dovuto provvedere lui personalmente.

L’interesse dei boss “italiani”

Le intercettazioni documentano, dunque, i suoi tentativi di allettare i due boss, operati anche per il tramite di altri affiliati, ma proprio i cattivi rapporti fra Piromallo e Porcaro innescano un gioco di veti reciproci che finiscono per far crollare tutto. Alcuni potenziali partner, infatti, si tirano indietro nel timore di scontentare uno dei temibili litiganti; altri ancora temono di entrare in conflitto con la concorrenza rappresentata dai nomadi. Insomma, il progetto sembra naufragare nonostante le insistenze del promotore dell’iniziativa, che oltre a essere in contatto «con una società di Crotone» attende anche una risposta «da un amico di Cetraro» che sembra interessato all’affare.

«Vado a scaricare a Marcianise»

L’imprenditore, dunque, non si scoraggia. E proseguendo imperterrito nel casting dei possibili finanziatori, svela a uno di loro i contorni più oscuri della questione, quelli che arrivano fino in Campania: «Stiamo parlando di lavoro lecito», afferma ignorando di essere intercettato, «il lavoro invece che non è lecito, che si può fare pure, lo sta facendo un altro ragazzo che… lui mi porta a me le cose documentate…e si può fare come lo sta facendo lui, pensa che lo sta facendo a nome mio (…) adesso mercoledì va… parte, ’sto ragazzo,  io non ho anticipato un centesimo e mi ha detto: ogni viaggio io vado a scaricare a Marcianise». Almeno per ora i fatti narrati nell’informativa non si sono tradotti in provvedimenti giudiziari a carico dei sospettati. Non è chiaro, dunque, se gli accertamenti della Finanza siano proseguiti e se gli stessi abbiano riservato sviluppi interessanti per l’ufficio diretto da Nicola Gratteri.

Il guadagno e i “veleni”

Le batterie d’auto sono considerati rifiuti pericolosi e, in quanto tali, devono essere smaltite seguendo un iter molto rigoroso, il che comporta delle spese per chi le detiene. La criminalità si inserisce nel discorso offrendosi di acquisirle gratuitamente e ciò consente a officine, autorimesse e sfasciacarrozze di abbattere i costi. Il guadagno è rappresentato dal riciclo delle parti in metallo e soprattutto da quelle in piombo che garantisce fra le 1500 e le 1800 euro a tonnellata. Si stima che più d’un terzo del fabbisogno nazionale di questo elemento arrivi proprio dalle batterie dei veicoli in disuso. La parte più pericolosa nonché più inquinante è rappresentata dai liquidi contenuti al loro interno, una mistura di acqua e acido solforico. Altre inchieste giudiziarie del recente passato hanno messo in evidenza come, in altre parti d’Italia, i gruppi criminali smaltissero questi veleni sversandoli direttamente nei terreni