In particolare l'ex luogotenente della Guardia di finanza è accusato di aver illecitamente preso informazioni su attività investigative per scopi privati
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La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Ercole D'Alessandro e Andrea Leone, entrambi detenuti e indagati nell'ambito dell'inchiesta "Basso Profilo" incentrata sui rapporti tra le cosche del Crotonese e imprenditori e pubblici ufficiali di Catanzaro.
D'Alessandro, all'epoca dei fatti luogotenente della Guardia di finanza in servizio al Nucleo di polizia economico finanziario, Gico - sezione Goa di Catanzaro, è accusato di associazione per delinquere semplice aggravata dal metodo mafioso, perché, secondo l'accusa, individuato da Tommaso e Saverio Brutto (padre e figlio, rispettivamente ex consigliere comunale di Catanzaro ed ex consigliere comunale di Simeri Crichi) «quale referente istituzionale-giudiziario si metteva a disposizione del sodalizio e più in generale si attivava per attingere informazioni su attività investigative che potessero pregiudicare l'esistenza del sodalizio medesimo». D'Alessandro è accusato anche di corruzione, rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, traffico di influenze illecite, accesso abusivo a un sistema informatico, false attestazioni o certificazioni, truffa.
Leone è accusato di associazione mafiosa perché ritenuto dall'accusa il riferimento operativo di Antonio Santo Bagnato, indicato come capo locale di Roccabernarda. Leone è accusato anche di associazione per delinquere semplice aggravata dal metodo mafioso, e emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, aggravato dal metodo mafioso.